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Neruda

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su Neruda

di Kurtisonic
6 stelle

Dopo avere sviscerato l’efferatezza della storia, con questa sterzata decisa del suo cinema Larrain inizia a recuperare l’umanità, nel nome di un egualitarismo universale senza più vincitori ne vinti ponendo al sopra di tutto l’arte e la poesia.

 

La gente non ama le metafore, legittima solo ciò che pensa già.” (Pablo Larrain)

 

Luis Gnecco

Neruda (2016): Luis Gnecco

Destinato ad essere uno dei nomi di punta del cinema sudamericano e ormai di livello assoluto, Larrain dimostra ancora una volta la propensione ad un cinema in continua evoluzione e di cui risulta inimmaginabile l’approdo finale. Dopo essersi affermato con uno stile così rigoroso che arriva quasi a sfiorare” l’ ascetismo” visivo culminante con il sottostimato capolavoro, Il club (2015), il regista con quest’ultima fatica, sembra allontanarsi dal cinema di denuncia e di espiazione del periodo più travagliato del Cile moderno, per avvicinarci alla cultura più radicata del suo paese, alla conformità caratteriale di un popolo che il suo cantore più significativo, il poeta e politico comunista Pablo Neruda ha incarnato con i suoi versi e la sua vita movimentata. Larrain prende in esame il periodo che parte dalla fine del secondo conflitto mondiale che vedeva il poeta presente nel parlamento e osteggiato dagli avversari politici che avevano conquistato da poco il potere costringendolo alla fuga. Il film costellato da una struttura piuttosto ellittica risulta se non poco omogeneo almeno così frammentato nel tenere un ritmo narrabile che a mio parere giova leggersi prima qualche nota biografica del poeta così da comprendere meglio il fluire degli eventi. Il biopic riguarda solo apparentemente il poeta, o meglio la forma filmica in cui egli si muove e da cui se ne coglie alcuni aspetti del vissuto, in realtà il film si sviluppa e cresce piano attraverso il sottotesto costituito dalla materia poetica che l’autore celebra non solo con la forza dei suoi versi, ma che spreme attraverso l’umanità e la vitalità dell’animo popolare, dal tessuto quotidiano fatto di atti comuni, di gesti semplici e giusti, o da quelli dissoluti ed esecrabili, tutto parte di un universo sensibile e malleabile. Larrain che ha più volte dichiarato la sua dipendenza (pari a quella dell’intera nazione cilena) verso il pensiero e l’azione poetica del mito di Neruda risulta esserne un pò troppo vittima. Fedele alle sue modalità raffigurative, il regista tende a staccarsi in maniera netta dai suoi personaggi a volte sgradevoli ma sempre discutibili riuscendo a mostrare lucidamente contesto e azioni conseguenti, mentre in questo caso ci offre un ritratto di Neruda verosimile quanto si vuole nella sua contraddittorietà anche verso l’essenza della sua poetica, ma che in fondo lo crogiola eccessivamente dentro delle peculiarità di allegro guascone diviso tra il viveur non indifferente alla agiatezza e un sentimentalismo da vetero puttaniere incline alla bontà dei giusti. Difficile che un personaggio tale risulti ostico e in contrasto con se stesso..

 

Gael García Bernal

Neruda (2016): Gael García Bernal

In questa storia c’è un personaggio principale e uno secondario” (tratto dal film)

 

 

Potrebbe essere il vero protagonista del film il poliziotto incaricato di catturare il poeta in fuga, Oscar Peluchoneau, paradossale e inadeguato, figlio di quella vera espressione popolare e fonte dell’ispirazione poetica. Creatura vera o presunta che istaurerà con Neruda, la sua immaginazione o quella del regista, un doppio filo di attrazione e avversione nel quale si confondono desideri inconsci tra preda e cacciatore in un cortocircuito vizioso che non si vorrebbe mai portare a conclusione. La voce narrante che ci accompagna lungo tutto il racconto illumina presto il percorso, fatto di sequenze mirabolanti, alcune volte quasi stucchevoli, altre di abbagliante bellezza, mentre le parole fuori campo ci conducono in un sentiero che potrebbe avvicinarsi al realismo magico , o ai labirinti di Cortazar, elementi confluiti prima o poi nella materia del poeta. Ci si accorge che con il progredire del racconto, il giovane Peluchoneau è semplicemente il volto, l’antagonista della coscienza di Neruda, entrambi figure di tramite di quella energia tanto terrena e materica quanto astratta che emana la purezza della poesia. Lo sforzo di Larrain sta proprio nella traduzione in immagini, a volte folgoranti e struggenti, in altre troppo rimarcate che tolgono ritmo all’immedesimazione. Il film assume una forma magmatica in costante evoluzione, di difficile riconoscibilità perché a contatto con generi diversi però decostruiti, non è privo di momenti di un’indubbia bellezza ma con una costante distaccata dalla materia che vuole evidenziare, a differenza della complicità con i personaggi. Lo stesso dualismo insito nel confronto tra Neruda e Peluchoneau risulta sempre prodotto da due squilibri, il più disinvolto e godereccio poeta giustificato dalla sua posizione e dal suo spiccato acume culturale, con l’ingenuità e la sprovvedutezza miserrima del poliziotto, che non collasseranno mai in un confronto reale, non saranno mai alle prese con quello che sono veramente o con la propria autorappresentazione. Probabilmente è negli intenti di Larrain affidarne un ruolo unicamente retorico ma che non si misura con quella essenza poetica che deve emergere. Diamo merito a Larrain di avere innestato una matrice puramente astratta in un corpo filmico hollywoodiano, che con ambiguità e una buona dose di lirismo e mistero avvolge lo spettatore. Saprà anche conquistarlo?

 

 

 

 

 

 

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