Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Nel 1948 il senatore comunista Pablo Neruda (Gnecco) denunciò il presidente Videla per aver tradito il Paese nonostante l'appoggio del partito comunista. Per tutta risposta, Videla spiccò un mandato di cattura contro il poeta e scrittore cileno, costretto così alla fuga insieme alla moglie argentina (Moran) e appoggiato da un nugolo di fedelissimi amici. Sulle sue tracce Oscar Peluchonneau (Bernal), un poliziotto egocentrico e mezzo impostore. A oltre vent'anni da Il postino di Michael Radford, la figura di Ricardo Reyes - in arte Pablo Neruda - torna sul grande schermo nel visionario film di Pablo Larrain. Il quale, a breve distanza dal capolavoro Il club, compie il miracolo di fondere la dimensione epica del racconto - quasi interamente articolato su una caccia all'uomo (nella fascinazione che l'inseguitore subisce dall'inseguito, tornano alla mente Nemico pubblico e Heat) - con quella lirica, affidata in gran parte alla voce narrante di Peluchonneau, sovrapponendo realtà e finzione con un virtuosistico gioco cubista sugli spazi, e firmando così un biopic anomalo e surreale nel quale persino il personaggio dell'inseguitore semina dubbi sulla sua stessa, possibile irrealtà. Così, alle liriche ora declamate direttamente dal protagonista, ora spezzettate dalla voce off del suo antagonista, si alternano richiami al Canto generale, che Neruda compose durante quella fuga da oppositore irriducibile, amante delle donne, spericolato frequentatore di bordelli, amico di Picasso e dei grandi intellettuali europei, l'uomo definito da Marquez "il più grande poeta del Novecento", premio Nobel nel 1971. Neruda è l'ennesimo film del regista cileno sulla rappresentazione del potere, un'opera capace di giganteggiare nella dimensione estetica (la fotografia desaturata, lo strabiliante pianosequenza inziale, nei bagni del Senato) e di muoversi agilmente tra poliziesco, road movie e melodramma con improvvise sterzate grottesche.
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