Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Forse è il film più realistico sul dramma delle guerriglie e controguerriglie sudamericane più recenti. Bravissimo il regista e bravissimi gli attori e le attrici principali ma non prese nessun premio importante perchè in quel periodo i film americani politicamente non allineati con la politica estera del presidente Ronald Reagan non erano di moda.
Nei primi anni ottanta il giornalista e fotoreporter indipendente Richard Boyle (J. Woods) dopo essere stato lasciato dalla moglie ritorna nel Salvador insieme al suo amico deejay ubriacone e marijuano "Doc Rock" (Jim Belushi) nella speranza di fare uno scoop ben pagato sulla guerriglia fra le forze militari governative e i guerriglieri comunisti. Ritrova Maria (E. Carrillo) una povera donna che aveva amato e lasciato e scopre che la situazione sta rapidamente precipitando a sfavore della popolazione civile.Il Salvador è un piccolo quanto povero stato sudamericano dalla politica interna fragile come la sua economia, basata sull' antico latifondismo oligarchico agrario, noto a livello internazionale più che altro per aver combattuto nel 1969 una brevissima guerra di pochi giorni contro l’ Honduras, pare provocata anche dagli strascichi di una partita di calcio tra le due nazioni oltre che dall' immigrazione salvadoregna non tollerata dal paese confinante. Una delle cosidette "repubbliche sudamericane del caffè, della coca, delle banane e dello zucchero di canna" che nella sua storia ha visto solo un susseguirsi di governi autoritari e colpi di stato delle forze armate dopo la sua indipendenza.
Con la nomina del nuovo presidente americano repubblicano Ronald Reagan al posto del democratico uscente Jimmy Carter, la politica estera americana darà il pieno appoggio della giunta militare salvadoregna. Il governo è in mano a un gruppo di ufficiali dell’ esercito il cui leader, un certo “Maggiore Max” (T. Plana) ha una linea politica più vicina a Hitler che a quella del presidente degli Stati Uniti, mentre nel paese dilagano gli omicidi commessi dagli squadroni della morte composti da militari, poliziotti e avanzi di galera abituati a uccidere chiunque per un pugno di dollari, pagati dal loro governo per mantenere l’ ordine eliminando i guerriglieri comunisti e i loro sospetti fiancheggiatori, spesso solo dei poveri contadini inermi di ogni sesso ed età, colpevoli soltanto di non avere votato e di aver protestato contro il governo. Tra le loro vittime anche quattro suore missionarie americane, violentate, uccise e sepolte, tra le quali una amica di Boyle (C. Gibb) e l’ arcivescovo di San Salvador Oscar Romero (J. C. Ruiz) ucciso mentre celebrava la messa nella cattedrale della capitale dopo una orazione contro i crimini del suo governo.
Dopo aver visto morire un suo collega americano John Cassidy (J. Savage) durante una breve ma feroce battaglia persa dai guerriglieri contro i militari salvadoregni, oltretutto riforniti in segreto dagli Stati Uniti, Boyle decide di ritornare a casa con Maria e i suoi figli piccoli scampati per miracolo ai massacri, sapendo di essere finito sulla lista nera delle squadre della morte governative a causa dei suoi rapporti giornalistici con i guerriglieri e del suo atteggiamento più che critico nei confronti di certi mandanti degli omicidi politici. Dopo essere scampato a una morte orrenda grazie a una delle sue amicizie influenti, una volta tornato a casa sano e salvo insieme alla sua compagna, Boyle verrà arrestato dalla polizia americana di frontiera insieme a lei e ai suoi figli, considerati degli immigrati clandestini da rimpatriare. Maria e i suoi figli finiranno in un campo profughi del Guatemala mentre la guerriglia civile nel Salvador durerà più di dieci anni, ignorata dagli Stati Uniti e dal resto del mondo. Adesso, nonostante che la sua situazione politica sia notevolmente migliorata, è una nazione da tempo finita in quelle liste dei paesi più pericolosi vivamente sconsigliati a qualsiasi tipo di turista straniero, perchè infestato da una criminalità giovanile legata al narcotraffico così diffusa e feroce da far impallidire quella delle metropoli americane.
Girato in Messico da un reduce della guerra in Vietnam già sceneggiatore di alcuni film di successo, “Salvador” di Oliver Stone è uno dei film più realistici sul dramma di quelle più recenti guerriglie civili sudamericane, spesso e volentieri dimenticate dai mass-media e dall’ opinione pubblica americana, specialmente nel periodo in cui i rapporti con l’ Unione Sovietica erano ancora tesi e alla Casa Bianca si temeva il sorgere di governi filosovietici in Sudamerica. Il personaggio principale, realmente esistito e ben interpretato da James Woods, si schiera subito dalla parte delle vittime civili di questa situazione imbarazzante anche per lui, un idealista disilluso già testimone degli errori del suo paese in Vietnam e in Cambogia, ancora legato ai suoi principi umanitari e non disposto a troppi compromessi con chi fomenta questi massacri per ragioni politiche ed economiche, abbastanza critico nei confronti di ambo le parti in lotta, spinto nella sua guerra senza armi dal bisogno scoprire delle verità anche se pericolose per lui e la sua carriera di giornalista scomodo ed emarginato dalla maggioranza che contava.
Ma Richard Boyle non è rappresentato come un santo laico votato al martirio, ma come un personaggio spesso irresponsabile più che altro verso se stesso pur di scoprire la verità. Se l’ interpretazione di Woods è convincente non lo è da meno quella di James Belushi nel ruolo dell’ amico balordo di Boyle, un personaggio certamente più disimpegnato e grottesco ma non meno credibile dell’ altro, specie se a interpretarlo è il fratello minore di un noto attore comico. Ovvio che bisogna essere pazzi per andare in certi posti pericolosi per chiunque e anche il collega connazionale di Boyle ben interpretato da John Savage, ha una vena di follia nel suo comportamento, che gli costerà la vita per una foto "con la effe maiuscola", come diceva lui. Bravi anche gli altri attori e attrici del cast che non sfigurano affatto insieme a Woods, Belushi e Savage.
Quanto alla ricostruzione delle battaglie e dei crimini contro l’ umanità il regista sfiora spesso il realismo di un documentario storico e ogni riferimento a persone realmente esistite, anche se in certi casi rappresentate con dei nomi inventati, non è puramente casuale. Per la cronaca (nera) il personaggio del maggiore salvadoregno “Max” in realtà era soprannominato “Blowtorch” (“Bruciapalle”) da certi suoi amici americani perché aveva studiato questo metodo di tortura all’ accademia della polizia di Miami (USA). Ma anche la rappresentazione di certi personaggi americani più o meno immaginari è abbastanza negativa, sia che si tratti di cinici consiglieri diplomatici e militari o di belle giornaliste rampanti al servizio ben pagato di giornali politicamente allineati e corretti, personaggi americani decisamente ostili nei confronti del protagonista loro connazionale. Solo l’ intervento dell’ ambasciatore americano uscente Thomas Kelly (M. Murphy) ancora vicino alla politica estera dell’ ex presidente democratico Carter, salverà il connazionale Boyle da una fucilata in testa.
Uscito nello stesso periodo di altri film americani politicamente molto più allineati con incredibili e muscolosi eroi a stelle e strisce, questo film di Stone fu poco visto e probabilmente più in Europa che in patria, dove non ottenne nessun premio importante, a parte alcuni sconosciuti premi americani di scarsa importanza conferiti l’ anno dopo la sua uscita nelle sale, come il Premio per lo Spirito Indipendente e quello della circolo della critica cinematografica di Kansas City, conferiti al film, al regista e all’ attore protagonista. Se non ebbe nessun premio Oscar, “Salvador” non ebbe tantomeno nessun premio europeo, sintomo di un certo asservimento filoamericano, anche da parte della nostra critica cinematografica, mai del tutto placato neanche dopo la fine della "guerra fredda". Infatti uscì nello stesso periodo di altri film più esaltanti per gli americani come “Rambo 2 - La vendetta”, “Rocky IV°” e simili, tutti film Made in USA di grande successo mondiale, che facevano concorrenza al peggior cinema di propaganda sovietico.
Oggi "Salvador" di Stone, nonostante la fama del regista e pur non essendo l' unico film americano sul dramma delle guerriglie sudamericane degli ultimi decenni del secolo scorso, è diventato un raro film di nicchia che non si vede mai in televisione e difficilmente reperire nell' home-video, dove circolava una versione su Dvd dal montaggio diverso dall' originale, con delle scene inedite tagliate perchè giudicate superflue e pure malamente doppiate da voci diverse. Sempre bravo il fu Ferruccio Amendola che ha dato la sua voce anche a Woods. Molto bella la struggente colonna sonora composta dal francese Georges Delerue ma anche per quella nessun premio. Oltre alle musiche di Delereu nel film si sentono anche delle canzoni popolari salvadoregne del periodo che fanno da sottofondo a certe scene di notevole impatto, come quella dell vittorioso attacco dei guerriglieri a cavallo contro la caserma della Guardia Nacionàl di Santa Ana.
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