Regia di Irene Dionisio vedi scheda film
Il prezzo delle cose, il valore soggettivo, personale, privato che sostituisce quello intrinseco – spesso anzi quasi sempre ben più elevato, a volte inestimabile – che è quello che ognuno di noi attribuisce a ciò a cui è più legato per ragioni affettive o comunque strettamente personali.
Accade pertanto che cose piacevoli, oggetti o testimonianze di momenti felici, diventano, dinanzi al freddo sportello del Banco dei pegni, un mezzo estremo per permettere a chi ha bisogno di liquidi, di farsi anticipare un valore di stima (sempre inferiore al valore presunto effettivo dell’oggetto), da restituire entro un determinato lasso di tempo, oltrepassato il quale il bene viene altrimenti venduto all’asta: in tal modo tutto il valore in supero che l’oggetto si aggiudica in sede di vendita all’incanto rispetto al valore anticipato al richiedente, rimane al banco.
La giovane regista Irene Dionisio intreccia – all’interno di questo antico, a tratti affascinante, ma anche controverso meccanismo di concessione di credito, antesignano delle più moderne e sofisticate forme di garanzia bancaria che assistono gli abituali affidamenti bancari odierni - tre storie drammatiche di vita di altrettanti individui, e di chi ruota attorno a loro come un satellite devoto ed inseparabile. Costretti tutti in qualche modo a subire - da una parte e dall’altra della barricata che distingue chi riceve il denaro, pegnando i beni, e chi lo presta, ricevendo gli stessi - il prezzo del disagio di non trovare altra soluzione per sostenersi, ed il rimorso di finire inevitabilmente per approfittarsi di chi non ha nemmeno più occhi per piangere.
Da una parte dunque la tensione emotiva e l’ansia da crisi di coscienza che coglie il giovane apprendista valutatore Stefano nel momento in cui si appresta ad imparare i trucchi del mestiere dallo scafato Sergio: le tecniche atte a spuntare il prezzo più basso possibile da offrire alla clientela che si presenta con gli oggetti da pegnare, ed invece le seducenti mosse che contraddistinguono le sue incandescenti aste volte al rialzo e alla massimizzazione dei prezzi e dunque dei profitti per il banco.
Ai margini dell’istituto invece, ma strettamente legato al commercio che ne deriva, seguiamo il lavoro sottobanco di uno spregiudicato strozzino, acquirente di bollettini di pegno, che si interpone ai proprietari impossibilitati a ritirare l’oggetto, in modo da averli in pugno e spuntare prezzi più elevati in cambio di ulteriore indebita procrastinazione del credito. Nel suo lavoro si fa assistere da un anziano pensionato indebitato, a cui chiede di svolgere i lavori più ingrati relativi alla riscossione dei propri crediti, avendolo in pugno come il burattinaio con il suo pupo.
L’ultima storia riguarda un transessuale che, nell’atto di ritirare la pregiata pelliccia ceduta a garanzia dopo che la famiglia lo ha abbandonato al suo destino, si vede impossibilitato al riconoscimento per cause burocratiche legate al proprio cambiamento di sesso, non coerente con quanto dichiarato sul documento di identità.
“Le ultime cose” spicca per l’accurato studio compiuto dalla regista nella ricostruzione di ambienti tetramente demodé, nella descrizione intima di disagi esistenziali che spesso, come in questo caso, rimangono inespressi, ma ben vivi e logoranti all’interno di singole drammatiche realtà, nei volti degli interessati, vittime o carnefici che siano, tra stati di indigenza ormai dilaganti all’interno di una società che subisce ormai con inerzia e passività gli effetti economici più devastanti di una recessione che non pare avere mai fine.
Il film evita con lucidità esemplare, iniqui ricattatori patetismi di scena, e ancor più estremismi melodrammatici di facile presa, per concentrarsi sull’antitesi tra la composta freddezza dei comportamenti professionali di una attività legale certo, ma non proprio protesa a fare il bene di chi vi ricorre in extremis, la vitale perseveranza di chi agisce sottobanco approfittando dell’indigenza e della vulnerabilità altrui, ed il sentimento di umana rassegnazione e sdegno che prende solo tutti coloro che, addentro a questo girone, qualsiasi sia il rispettivo ruolo, possiedono ancora l’umanità per provare disgusto e senso di colpa, per quella sorta di atteggiamento di prevaricazione che la legge e la convenzione impone su chi si trova in stato di necessità, e quindi soggetto ad ogni angheria pur di assicurarsi la sopravvivenza giornaliera.
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