Regia di Irene Dionisio vedi scheda film
Avrebbe dovuto essere un documentario il film d'esordio di Irene Dionisio, documentarista cresciuta con Segre e Bellocchio, ma impedimenti burocratici, problemi di privacy e altro lo hanno trasformato in una fiction su un universo difficile, ostile, ulteriormente ispessito dalla crisi: quello degli oggetti dati in pegno. Siamo a Torino e al banco dei pegni si rivolge una umanità di poveracci, diseredati, immigrati, gente misera che sbarca il lunario, prestandosi a valutazioni da usura. Appena fuori da lì, un piccolo formicaio di parassiti, un mondo di illegalità dove si è pronti a entrare per riscattare le "bollette", ossia le ricevute che la banca dei pegni emette per poter riavere indietro i propri oggetti - preziosi economicamente, ma spesso assai più preziosi affettivamente - entro un lasso di tempo prestabilito. In quel formicaio entra anche Michele (Santagata), nonno premuroso che arriva a stento alla fine del mese, pur tuttavia disposto anche al piccolo cabotaggio al soldo di un mediatore senza scrupoli (Salvatore Cantalupo, qui in una interpretazione che lo avvicina moltissimo a quella che lo caratterizzò in Gomorra) pur di dare un'esistenza dignitosa al nipotino. Film corale che conserva l'impronta documentaristica mettendo in scena una girandola di situazioni disperate, osservate dall'altra parte del vetro con occhio assai diverso da un avido direttore di banca (De Francesco) e dal giovane perito (Falco) che vi ha appena preso servizio. Se la caratterizzazione di questi due personaggi è eccessivamente manichea e didascalica e se il montaggio alternato pecca di qualche ingenuità, il film ha molti meriti - dalla direzione di attori perfettamente al diapason alla fotografia - e si segnala come un dignitosissimo ritratto di una società infelice, diffidente, nella quale la guerra tra poveri non conosce esclusione di colpi.
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