Regia di Irene Dionisio vedi scheda film
Venezia 73 – Settimana della critica
Ci vuole coraggio per raccontare l’esistenza delle persone rimaste indietro, per non dire proprio escluse, rispetto ai ritmi, e alle frenesie, della società attuale e un banco dei pegni è un luogo simbolico perfetto per rappresentare un degrado prima di tutto morale, in cui le posizioni di forza stritolano regolarmente chi si ritrova in stato di insolvenza, sorde alle richieste di aiuto e orientate esclusivamente alla tutela del proprio interesse economico.
Il film di Irene Dionisio ha iniziativa e racconta tre storie che coinvolgono cinque personaggi principali che orbitano attorno a questo luogo; due lavorano al suo interno, Sergio (Roberto De Francesco) è dentro al meccanismo fino al collo, ligio al suo mantra, mentre Stefano (Fabrizio Falco), il nuovo arrivato, fatica a inserirsi in questi meccanismi schiaccia umani e prova a fornire un supporto amichevole, per esempio a Sandra (Christina Rosamilia) che per sopravvivere è costretta a impegnare una pelliccia cui tiene molto. Completano il riquadro in rilievo, Michele (Alfonso Santagata), un pensionato rimasto senza un soldo dopo aver aiutato il suo nipotino e il ricettatore (Salvatore Cantalupo) che offre all’anziano un pericoloso posto da aiutante sulla strada.
Tra questi, Sergio funziona a menadito, nel suo essere freddo come un rettile e calcolatore, Sandra è un piccolo colpo di fulmine e rappresenta la più insensibile delle esclusioni sociali, mentre Michele si articola tra luci e ombre (la sventura finale che gli capita non è realizzata come avrebbe meritato) e le principali noti dolenti, un po’ di tutto il film, giungono da Stefano, di suo il ruolo più complicato, a partire dal percorso più tortuoso e necessario, cui Fabrizio Falco, a mio parere, non ha reso per niente giustizia e sul quale il raccordo fondamentale che ne chiude il cerchio non è strutturato con puntigliosità.
A favore della pellicola, va invece dato atto alla regista di aver aderenza di sguardo, soprattutto nei riguardi di Sandra, e di aver optato per la coerenza (impossibile pensare a una via d’uscita per questi disgraziati) senza provare in alcun modo a far digerire la pillola con improbabili buoni sentimenti (almeno a lunga gittata) e in quest’ottica si possono collocare le scelte conclusive (ma non tutto il percorso precedente).
Purtroppo, la forma un po’ troppo povera, l’impronta che è indubbiamente neo realista ma con alcune forzature verso la finzione difficili da digerire e qualche approssimazione nei binomi personaggi/interpretazioni, penalizzano un piccolo film, comunque sincero e propositivo che un’occasione di visibilità la meriterebbe comunque.
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