Regia di Daniel Guzmán vedi scheda film
Tra le grandi tematiche cinematografiche l’adolescenza è tra le più ricorrenti. Il fascino, l’ossessione, la tensione verso la giovinezza trovano nel Bildungroman il modello di riferimento più logico e rappresentativo. Non sempre necessario o efficace, il romanzo di formazione attraversa l’età inquieta con un inventario di tematiche secondarie che difficilmente trovano la loro perfettività altrove – la sessualità, il corpo, la ribellione, il sogno, il viaggio, la fuga, la contestazione, la malinconia. Grazie al cinema queste traiettorie si fanno più concrete, l’immagine aiuta a stimolare l’empatia dello spettatore, ad evocare ricordi ed emozioni su procedimento proustiano, la famosa madeleine. Inoltre, la figurazione di tipi e ambienti diventano attivano dispositivi ermeneutici per decodificare il testo adolescente – leggasi corpo.
Nei mondi rappresentativi spagnoli, l’adolescente ha goduto di un ruolo privilegiato. Fin dal 1554, anno di pubblicazione dell’anonimo Lazarillo de Tormes, opera cardine della letteratura spagnola tanto quanto di quella mondiale, essendo la prima narrazione in prosa con protagonisti di estrazione sociale bassa e con un linguaggio realistico il più aderente possibile al gergo dell’epoca, la Spagna ha partorito un’infinità di pícaros che hanno costellato la cultura della penisola insieme alle varie celestine, ai cavalieri di ventura e ai bambini figli della Guerra Civil. Tradizione che è passata successivamente al cinema con film di ambientazione franchista tra il fantastico e il realismo sociale – Crónica del alba (1983), El año de las luces (1986), El espinazo del diablo (2001), El laberinto del fauno (2006), Pa negre (2010) – ma soprattutto con il celebre cine quinqui in voga tra il 1977 di Perros callejeros di José Antonio de la Loma e il 1987 de La estanquera de Vallecas di Eloy de la Iglesia, regista simbolo del genere. Vite di giovani delinquenti di quartiere, spesso interpretati da veri ragazzi presi dalla strada, animati da sogni di ricchezza tanto quanto di felicità povera ed essenziale fatta di amicizia, sesso e famiglia, sono i cardini di questo interessante filone cinematografico spagnolo riconducibile sia al poliziesco che al dramma sociale.
Con la fine degli anni ’90 la Spagna ha ripreso, con estetiche e limiti ideologici diversi dall’epoca d’oro, molte tematiche e modelli narrativi del cine quinqui. A cambio de nada, di Daniel Guzmán, al suo esordio dietro la macchina da presa, si inserisce di peso tra titoli che come Barrio (Fernando León de Aranoa, 1998), El Bola (Achero Mañas, 2000), 7 virgenes (Alberto Rodríguez, 2005) e Criando ratas (Carlos Salado, 2014). Supportato da un ottimo cast, il film racconta con taglio realistico e allo stesso tempo evocativo le disavventure di un ragazzo come tanti della Spagna di oggi, di estrazione proletaria, genitori separati, marginalità sociale, scolarizzazione difficile e problematica, che come i precedenti protagonisti del cine quinqui cerca in tutti i modi di farsi strada in una società corrotta e individualista che non smette di prenderlo a calci, senza però perdere l’animo romantico che gli si strugge dentro.
L’interprete principale, il malagueño Miguel Herrán, è dirompente quanto malinconico. Sfoggia con disinvoltura un fascino empatico che regge tutta la vicenda: dai piccoli furti alla dichiarazione del falso, dai festini imbarazzanti all’affetto per l’anziana rigattiera interpretata proprio dalla nonna del regista. Un film che Guzmán non nasconde essere in buona parte autobiografico, ma che dirige con distacco dotando le immagini di una compostezza e una immediatezza coinvolgenti se non addirittura seducenti. Dopotutto, il fascino per la verità dura e cruda della vita è sempre vigile e in attesa di emergere nell’orizzonte del nostro giudizio critico.
Il realismo di A cambio de nada, o meglio il suo naturalismo, tanta è l’aderenza al tessuto sociale del quartiere e della strada tipico del cine quinqui, qui riletto in alcune scene, soprattutto quelle notturne, con tocchi di magia e sospensione temporale. Un dramma a tratti forti, ma sdrammatizzato dall’umore sincero della coppia protagonista, con i loro colpi maldestri, i loro imbarazzi. Delicato nella partecipazione emotiva e per nulla ricattatorio, A cambio de nada non ha la lacrima facile e sa stupire e colpire al cuore con la genuinità di tutti i suoi attori, compresi Felipe García Vélez e l’anziana Antonia Guzmán, e il distacco formale della regia.
Una regia che gioca con le tematiche care al cine quinqui – vita balorda di strada, grande senso dell’amicizia, il sogno di una famiglia stabile, onore, coraggio, nudità, critica sociale e tragedia – senza però calcare il dito sulle stesse, adeguando forma e contenuto al proprio tempo. L’unico rammarico è proprio questo: non aver avuto la spregiudicatezza del miglior cine quinqui di De la Iglesia e De la Loma. Il regista ha preferito raccontare di più la tenerezza che l’audacia dell’adolescenza. Una scelta accomodante, per arrivare al più vasto pubblico possibile, ma che ha permesso allo stesso tempo di confezionare un film duro sincero e dolce.
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