Regia di Michele Placido vedi scheda film
Durante questa emergenza, inedita e inquietante, il lavoro si trasforma da casa (per chi può farlo), si sospende o peggio lo si perde.
Alla ricerca di nuovi scenari e di nuovi diritti, 7 minuti ci viene in soccorso per (ri)aprirci gli occhi su che cosa è diventato il lavoro.
Il capitale, il padrone vince sempre. Dimenticate le prime lotte di fine ‘800, la nascita del socialismo, il conseguente annientamento post Grande Guerra con l’avvento al potere dell’ex socialista Benito Mussolini e la omologazione ad un unico credo.
Le lotte del biennio rosso portarono lo Statuto dei Lavoratori, introducendo modifiche storiche alle condizioni di lavoro, alla tutela dei lavoratori e alle rappresentanze sindacali.
Oggi, quel modello, anche in materia di diritto del lavoro, è stato col tempo smantellato, spesso in nome di un forzato riformismo e sovente con nomignoli anglofili per gettare ulteriore fumo negli occhi.
7 minuti sono un’analisi schietta sullo stato comatoso dell’industria in Italia.
7 minuti sono il vecchio aziendalismo fintamente paternalistico, ben rappresentato dalla triade Varazzi.
7 minuti sono i capitali esterni cinici e capaci solo di delocalizzare.
7 minuti è un consiglio di fabbrica variegato, multirazziale e archetipo di un’Italia in cui il superfluo e il superficiale hanno prevalso.
7 minuti sono l’operaia roccia Bianca, rsu e memoria storica di un Paese che dimentica in fretta.
7 minuti sono un ricatto, un altro pezzetto da sottrarre alle forze del lavoro, l’anticamera del licenziamento previo ridimensionamento.
7 minuti è il ragionamento contrapposto al prendiamoci qualsiasi cosa propinata, la ragione contro la violenza delle condizioni (il calcolo matematico dei sette minuti; quanto abbiamo perso in quarant’anni).
7 minuti ha un cast femminile quasi sorprendente per resa e pathos. Merito di un ottimo Michele Placido, regista che – nonostante qualche azzardo e principio di caduta nel melodramma o retorica – va dritto all’obiettivo prefissato e scritto in modo maiuscolo da Stefano Massini: aprirci gli occhi e farci una sola domanda: “Se quello che guardiamo non è cielo ma un mare che sta per cascarci in testa?”.
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