Regia di Michele Placido vedi scheda film
Placido mette in scena la logorroica camera di consiglio di 11 Angry Women chiamate ad esprimere un ragionevole dubbio su di una proposta normativa in grado di condannare ingiustamente un mercato del lavoro ormai in balia della contrattazione di secondo livello e delle armate brancaleone di comitati di base da sbrindellata caciara condominiale.
L'acquisizione di una fabbrica tessile italiana da parte di una società francese che ne scongiurerebbe chiusura e licenziamenti prevede un'unica condizione: le operaie devono rinunciare a 7 minuti della loro pausa, continuando a lavorare ed avendo la garanzia di portare ancora a casa l'intero stipendio. Non ostante la rinuncia appaia insignificante, qualcuna la pensa diversamente.
Da sempre incline al cinema di impegno civile (Un eroe borghese, Del perduto amore), l'autore di Pummarò ritorna al mondo del lavoro ed ad un'attualità fatta di globalizzazione e immigrazione, con un soggetto tratto da una storia vera e sceneggiato insieme all'autore dell'omonima pièce teatrale. Al netto degli stereotipi paratelevisivi di un melting pot che assembla un consiglio di fabbrica multirazziale e multiborgataro da é parti de Ostia (Ambra in versione trash non fa molta fatica!) e delle pittoresche caratterizzazioni regionalistiche care alla nostra commedia di costume, l'occasione è strumentale per un tema che riesce rubare alla realtà sociale ed alla finzione cinematografica francesi giusto l'ispirazione predatoria per una Madame con molta classe e pochi fronzoli in cerca di facili conquiste industriali a due ore d'aereo. Lontano anni luce dallo scabro realismo e dalla credibilità ontologica del cinema francofono di argomento affine (Resources humaines, La loi du marché, Deux jours, une nuit) e con i molti ammiccamenti deontologici che spaziano dall'erosione dei diritti al ricatto sociale, dalla crisi della rappresentanza sindacale all'orgoglio di genere, dal paternalismo industriale alla finanza corsara, Placido mette in scena la logorroica camera di consiglio di 11 Angry Women chiamate ad esprimere un ragionevole dubbio su di una proposta normativa in grado di condannare ingiustamente un mercato del lavoro ormai in balia della contrattazione di secondo livello e delle armate brancaleone di comitati di base da sbrindellata caciara condominiale. Ovviamente la tensione è annacquata da un montaggio che alterna blandamente le paludate decisioni ai piani alti prima e la dialettica da quattro soldi nel retrobottega poi, con una Ottavia Piccolo sciatta bastian contraria nella parte di una Henry Fonda in gonnella e con bamboccione a casa, a moderare un gineceo multietnico in preda alle intemperanze culturali ed ai sussulti dello spirito che cedono di schianto di fronte alla scontata evidenza di una moltiplicazione algebrica che magnifica una banale questione di principio. Definire didascalica una roba simile sarebbe fargli un complimento, compreso un casting macchiettistico e trasversale di immigrate sul piede di guerra e borgatare per tutte le stagioni, tra androgine tatuate dal turpiloquio facile a donne incinte con compagno del Bangladesh, tra partenopee veraci con conto alla Caritas alle categorie protette di figlie d'arte in carrozzella; persino una cantante pop dai capelli rossi che ce lo sapevamo che non era irlandese. Tanto per dire che a noi ci piacciono le questioni di principio care a Raifiction e le robe importanti che le producano all'estero; quando si dice la delocalizzazione di una cultura cinematografica (a conduzione familiare) che non esiste più. Troppi Placido nel cast e troppi finanziamenti pubblici per un film che ottiene due candidature ai David di Donatello 2017 non andate a buon fine.
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