Regia di Michele Placido vedi scheda film
Sette minuti sono un lasso di tempo esiguo, però in certi casi, possono rappresentare un vero e proprio momento cruciale. Nel caso raccontato da questo film, che rappresenta la tredicesima regia cinematografica di Michele Placido, sono una clausola, una richiesta, e allo stesso tempo un espediente: perchè la fabbrica al collasso in cui lavorano le operaie a consiglio al centro del racconto, è vicinissima ad un accordo con una grande azienda francese, che salverebbe la baracca, ma chiede alle dipendenti di diminuire la pausa pranzo da quindici a otto minuti. Quasi tutte le lavoratrici, d'impeto, sarebbero per firmare l'accordo, ma la più anziana si impunta per non avallarlo, e cominciano gli scontri tra le undici donne. Placido, traendo il suo nuovo titolo da un'opera teatrale di Stefano Massini, a sua volta ispirato al vero caso di una vicenda accaduta proprio in Francia, nel 2011, fa una scelta coraggiosa, e questo gli va già a favore: in un cinema italiano perlopiù abitato da creativi, architetti, manager, punta su un ambiente operaio, per troppo tempo dimenticato da sceneggiatori e registi. I vari Monicelli, Scola, Petri, tanto per fare qualche nome, non si peritavano di mettere in scena certe problematiche, ad esempio. "Sette minuti", probabilmente, ad oggi, il miglior lavoro di Placido insieme a "Romanzo criminale", è un film che, in una struttura che richiama un modello eccellente quale "La parola ai giurati", giocando di tensione e di dialettica, tocca vari nervi scoperti: dall'integrazione, mancata o meno, degli stranieri, alle condizioni di lavoro, sempre peggiori per tutti, e non solo per i ceti proletari, la crisi che parrebbe giostrata a proprio favore dai colossi aziendali, il qualunquismo ottuso che è stato tra le grandi risorse di come questa società si è evoluta in peggio, l'accettare, sempre e comunque, che ha riportato le cose, per quanto riguarda i diritti, di mezzo secolo indietro. C'era, vero, il rischio di troppa carne al fuoco, ma lo spettacolo avvince e regge, facendo luce sui problemi e la condizione di ognuna delle donne protagoniste, senza esplicare troppo della sfera di ognuna, ma dando un'idea sufficiente. Bravissime tutte le attrici in scena, conosciute o meno, compresa una sorprendente, e finora purtroppo quasi inedita, in questa veste, Fiorella Mannoia. E la rabbia amara che la pellicola fa sentire a uno spettatore con un minimo di senso civico in corpo e in mente, quando esce dalla sala, è un sentimento che evidenzia l'importanza di un cinema così. Speriamo non resti un caso isolato.
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