Regia di Marco Segato vedi scheda film
Limpido, lineare, compatto. Radicato nel passato, chiuso sul presente, aperto al futuro.
Primizie TriVenete (esordi del Nord-Est) : Antonio Padovan (1986) - "Finché c'è Prosecco c'è Speranza" (2017) -- Matteo Oleotto (1977) - "Zoran, il Mio Nipote Scemo" (2013) -- Marco Segato (1973) - "la Pelle dell'Orso" (2016).
Reduci, fuoriusciti, cavatori e caporali di montagna (la Val di Zoldo, col Maè affluente di destra del Piave (Longarone, Erto e Casso - e quindi il Vajont - sono a un tiro di schioppo, sulla sinistra orografica del Grande Fiume Sacro alla Patria, in Friùli), nel cuore delle Dolomiti orientali, tra il bellunese (il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi principia i suoi confini di nord-est di lì a poco poco verso sud-ovest) e il Cadore, ovvero: uomini, mezz'uomini, ominicchi e bòcia astemi di passo e di sella.
El Diàol (interpretato da un orso bruno ammaestrato ungherese, e no, non sto parlando dell'orso da circo Orban) -- il trisavolo degli ultimi 3 orsi bruni (Ursus a. arctos) alpini autoctoni italiani superstiti (e oramai troppo vecchi per riprodursi) alla fine del II millennio prima della reintroduzione (Progetto "Life Ursus" del 1999-2002) nel Gruppo di Brenta (Parco Nazionale Adamello-Brenta) con ripopolamento coatto avvenuto a cavallo tra il XX e il XXI secolo utilizzando 10 esemplari sloveni che in 20 anni di riproduzione hanno portato a circa 75 il numero complessivo di esemplari presenti sul territorio – si avvicina troppo alle case e ai prati, alle stalle e agli orti degli umani.
Domenico Sieff (Leonardo Mason), il figlio adolescente di Pietro (Marco Paolini) - un uomo nato curvo, poi stortato e ritorto dalla vita, ma nodoso e resistente, come quasi tutti reduce di guerra e come quasi non tutti ex carcerato (delitto d'onore del Codice Penale, più un suicidio) e inadatto a fare il genitore (a meno di avere il discendente migliore del mondo) - continua a porgere al padre delle cose, degli oggetti, degli intermediari/dimostrazioni d'affetto non corrisposto, non dimostrato, mal riposto, celato: un piatto di cibo, per cena, gli occhiali da vista, per la caccia, la fotografia della moglie, per amore.
600.000 mila lire, ovvero lo stipendio di un anno, contro un anno di lavoro gratis: la pelle dell'orso contro la pellaccia umana (quella del padre e, a cascata, del figlio). Un riscatto alla pari.
{Nota/intermezzo a margine. Imperdonabile sarebbe stato per un film DI montagna - specialmente dopo aver fatto emigrare se pur legalmente un orso dall'oltre cortina (D'Ampezzo? No, il muro di filo spinato del plantigrado Orban) ungherese - far interpretare il ruolo di una vipera, nello specifico un Marasso (Vipera b. berus) della forma scura/melanica dalla livrea nera [il “Bastarda!” dettole dal padre è da interpretare così, dati gli effetti successivi del morso, inoppugnabili, e non da intendersi riferito ad una “Biscia” (Natrix sp.) - termine inaccettabile - o “Serpe” - termine più passabile ma comunque scorretto], ad un Biacco (Hierophis viridiflavus) della sottospecie scura/melanica dalla livrea nera (se pur mordace, ma innocuo, a meno che non abbia appena divorato un piccolo ratto infetto, ma questo esemplare in particolare, lungo al massimo 30 cm, l'animale più grosso che potrebbe aver inghiottito in vita sua è una lucertola), ma da quei pochi frame a disposizione non riesco a decifrarne - a parte le dimensioni, poco meno di due spanne, e l'età, forse due anni - con esattezza da un PdV morfologico/tassonomico la precisa sistematica.}
Esordio nel lungometraggio di finzione per Marco Segato (classe 1973, laureato in Lettere all'Università di Padova con una tesi su Martin Scorsese e poi assistente alla regia per Carlo Mazzacurati sul set di “la Giusta Distanza”), uno dei registi (anima da documentarista, e infatti l'inizio de "la Pelle dell'Orso" è in zona “Alberi” di Michelangelo Frammartino, anche se a cinque paralleli di distanza verso nord e altrettanti meridiani verso ovest) di punta della JoleFilm (i, per l'appunto, documentari “Ci Resta il Nome”, “Via Anelli”, “Ora Si Ferma il Vento” e “l'Uomo che Amava il Cinema”, e la regìa televisiva dello spettacolo teatrale...) di Marco Paolini (...“il Sergente”, da Rigoni Stern), che mette in scena -–- sceneggiandolo con lo stesso Paolini, anche attore protagonista, ed Enzo Monteleone [co-sceneggiatore per il cinema italiano (più C.Saura) medio e alto tra la fine degli anni '80 e l'inizio de(gl)i '00 - C.Torrini, G.Salvatores, C.Mazzacurati, A.D'Alatri, M.Sordillo, G.Piccioni, V.Zagarrio, C.Comencini, M.Sciarra - e regista dei propri scritti: “la Vera Vita di Antonio H.”, “Ormai è Fatta!”, “El Alamein - la Linea del Fuoco” e “Due Partite”, per poi essere, nell'ultimo decennio, risucchiato dalla mini-serialità più anonima] -–- il romanzo (Guanda) omonimo (che inizia col piccolo protagonista, emulo di Tom Sawyer, intento a pescare al torrente guardandosi “attorno come se fosse la prima volta che vedeva quei posti” e a farsi passare i postumi di una svèrgola paterna ricevuta in faccia il giorno prima come dono di “insegnamento” genitoriale) di Matteo Righetto (Padova, 1972) - autore tra gli altri di “Savana Padana” -, “la Pelle dell'Orso” (titolo internazionale: “On the Trail of My Father”) è un quadriello a distanza (a volte ravvicinata) tra orso, padre, figlio e...capoccia/padroncino/podestà (Cosa? Siamo nel Secondo DopoGuerra, nel pieno degli Anni '50, e non è più il tempo? È sempre il tempo!) del luogo (Paolo Pierobon; “Vincere”, “il Mio Domani”, “la Prima Neve”, “il Capitale Umano”, “l'Ordine delle Cose”), con intervento trasversale e passante di (prego, che inizi la Fiera dei Termini: vagabonda, libera e selvaggia, proto-femminista...) una donna (Lucia Mascino; “i Delitti del BarLume”, “Favola”, “Amori che Non Sanno Stare al Mondo”).
Prodotto da Francesco Bonsembiante [co-fondatore di JoleFilm con Marco Paolini ai tempi de “i Ritratti” di Mazzacurati (Rigoni Stern, Meneghello, Zanzotto), poi al lavoro anche e soprattutto con Daniele Segre (“Io Sono Li”, “la Prima Neve”), e nel bel cortometraggio di Costanza Quatriglio, “Con il Fiato Sospeso”], “la Pelle dell'Orso” vanta un ottimo cast tecnico che sembra lavorare “col pilota automatico inserito” ma in realtà è ben sfruttato in reciproca coesione [fotografia di Daria D'Antonio (“Padroni di Casa”, “N-Capace”, “il Miracolo”) e montaggio di Esmeralda Calabria e Paolo Cottignola (niente presentazioni), mentre le musiche sono di Andrea Felli] e ricorda - per “paesaggio morale”, non per grammatica narrativa, qui molto più semplice e lineare -, senza raggiungerne la forza, un altro bell'esordio del cinema italiano recente, il potente “Cavalli” di Michele Rho.
Limpido, lineare, compatto. Radicato nel passato, chiuso sul presente, aperto al futuro.
Che si farà. E verrà. In cava. O a Belluno. O persino a Padova, e ritorno.
* * * (¼) ½
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