Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film
“stesso cuore stessa pelle
questo è il patto fra sorelle,
anime che mai potrà
dividere la realtà”
La schiavitù invisibile, che l’apparenza non certifica, è quella, impensabile, della porta accanto, figlia del degrado umano che vive in simbiosi (come gemelli siamesi) con quello ambientale.
Aridità morale e miserabilità segnano il destino di innocenti la cui unica colpa è ritrovasi -per diritto di nascita- nelle mani di chi una coscienza e una dignità non ce l'hanno mai avute e mai ce l'avranno.
E dirsi devoti servitori del nostro signore iddio non è che l'ennesima messinscena ostentata nella convinzione (e nella convenienza) che la fede sia una baracconata, un circo pacchiano utile a lucrare, dove esibire e sfoggiare come una grazia ricevuta tutto l'orrore di cui si è scientemente capace di generare.
Per chi è uno schiavo invisibile consapevole di esserlo, arrivare a commettere gesti estremi che rompano quel muro invalicabile di attanagliante disperazione e stordente isolamento (costruito a tavolino) che separa dalla libertà (di vivere la propria vita) i 'servi senza catene', si rivela l'unica via possibile -forse- per affrancarsi dallo stato di prigionìa cui si è preda, soprattutto quando il mondo fuori dalla propria gabbia (più o meno) dorata professa, a gran voce, di essere fatto interamente di uomini liberi.
Edoardo De Angelis è un autore da tenere d’occhio; dopo il bizzarro Mozzarella stories ed il malinconico noir metropolitano Perez. approda a questo terzo, notevole lavoro (nel contenuto e nella forma) che conferma l’interesse del regista napoletano di rimanere ancorato alle sue radici partenopee/campane, elevandosi a cantore di una realtà locale desolante, squallida e degradata come gli individui gretti e meschini che la abitano.
Dove l’ignoranza, pare dirci, è la principale nemica del progresso, quello culturale.
Dove la miseria intesa principalmente, se non unicamente, come condizione dello spirito, annichilisce il naturale slancio vitale e annienta il desiderio di guardare oltre la negletta sussistenza di non-vite che tirano a campare, che fingono di non vedere, di non farsi domande, cullandosi nell’illusione, fragile come carta velina, di sapersi affiatate, di credersi famiglia quando famiglia non lo sono affatto perché non ne comprendono il senso profondo, di ritenersi normali quando la normalità è un concetto semplicemente a loro estraneo.
E, infatti, basta un alito di vento dall’esterno, un punto di vista differente da quello -l’unico, sempre lo stesso- conosciuto, a confermare e dare speranza, nutrimento a idee, pensieri ‘rivoluzionari’ del proprio quotidiano spontaneamente nati ma rimasti allo stato embrionale, per portare scompiglio, far saltare i precari, malati equilibri (fondati sull'inganno) che tengono in piedi, legate a doppio filo le loro abiette, immensamente tristi esistenze.
Si guarda sempre lontano e mai si punta lo sguardo sulla realtà che ci circonda: quanti schiavi invisibili dietro sembianze e vite all’apparenza ordinarie ancora abitano la nostra società civile, ancora dimorano nelle nostre confortevoli mura domestiche?
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