Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Roberto Faenza è un regista che - insieme a Florestano Vancini, Renzo Martinelli, Carlo Lizzani e Giuseppe Ferrara - appartiene a quella sparuta cerchia di cineasti che, nella loro carriera, si sono sempre sforzati di stare a un passo dalla cronaca (o dalla storia), con esiti spesso non proprio esaltanti. Dopo il ritratto di don Puglisi (Alla luce del sole) e l'assai meno riuscito film per la tv Il delitto di via Poma, l'ormai ultrasettantenne regista torinese tocca uno dei punti più bassi della sua carriera nel tentativo di ricostruire il dedalo di relazioni che, tra la fine degli anni '70 e l'inizio del decennio successivo, portò al rapimento della quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un messo pontificio, nel 1983. Si trattò di un groviglio intricatissimo nel quale furono coinvolti la banda della Magliana (e in particolare uno dei suoi uomini di punta, Enrico De Pedis, detto Renatino), lo IOR (cioè la banca vaticana) di Marcinkus, importanti uomini di stato oggetto di ricatti, l'uccisione di papa Luciani e la trattativa per la scarcerazione di Ali Agca, l'uomo che - se avesse frequentato un po' più spesso il pioligono di tiro - avrebbe sollevato l'umanità da parecchi dei crimini del suo bersaglio, Karol Woijtyla. Per raccontare ciò che è stato detto infinitamente meglio nel lavoro giornalistico di Carlo Lucarelli in Blu notte e comunque già raccontato da Ferrara ne I banchieri di Dio, accennato da Michele Placido in Un eroe Borghese, descritto pessimamente da Daniele Costantini in Fatti della banda della Magliana o magistralmente dallo stesso Placido in Romanzo criminale, Faenza imbocca la strada del bigino: stampa sulle bocche dei protagonisti la sceneggiatura, che viene semplicemente declamata, ricostruendo le scene d'azione con qualche ripresa di raccordo o con immagini di repertorio. Il tessuto connettivo tenta di legare le vicende di ieri (la tesi del film è che la Orlandi sarebbe stata rapita affinché il Vaticano restituisse alla Banda della Magliana il maltolto che era stato "lavato" nella banca di Calvi per andare a rimpinguare le casse dello Ior) con quelle di oggi (le rivelazioni di Massimo Carminati, epigono della stessa banda), sulle quali indaga una giornalista (interpretata con la consueta mutria da Maya Sansa, che sembra reduce da un trattamento di tassidermia) in tandem con un'altra giornalista (Lodovini) che ebbe un contatto con Sabrina Minardi (Scarano), la ex compagna di De Pedis (Scamarcio). Pasticciatissimo, recitato in maniera imbarazzante (al confronto, Penny avrebbe fatto un figurone), La verità sta in cielo è quanto di più distante possa esserci da un'idea di cinema-cinema.
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