Regia di Ed Gass-Donnelly vedi scheda film
Tff 34 – After Hours.
Cinque, quattro, tre, due, uno… tana libera tutti.
Correva l’anno 2010 quando Ed Gass-Donnelly si presentò a Torino con Small town murder songs lasciando il segno. Con Lavender, probabilmente i conti tornano con maggiori difficoltà, d’altronde il thriller, tanto più quando innaffiato di parapsicologia e ambientato in una casa viva, si rivela il più delle volte una trappola che attira con le più riuscite delle esche.
Fin da giovanissima, Jane (Abbie Cornish) è stata attratta dalle case abbondate e dopo un terribile incidente stradale, aiutata da uno psicologo (Justin Long), scopre di possedere una vecchia casa.
Recatasi sul posto, cominciano a succedere cose inspiegabili, mentre ritrova dopo tanto tempo suo zio Patrick (Dermot Mulroney) che vive ancora nella tenuta adiacente e detiene ricordi importanti sulla dolorosa infanzia di Jane.
Per la serie, il passato torna a bussare alla tua porta per sistemare dei conti lasciati in sospeso, Lavender dà il là a parecchie considerazioni che spaziano da qualità anche importanti ad aspetti piuttosto fastidiosi.
Intanto, bisogna ammettere che sul genere, anche prendendolo alla larga, è ormai arduo riuscire a stupire, cosa che peraltro Ed Gass-Donnelly non riesce a fare, ma se non altro ripropone alcuni efficaci cavalli di battaglia e comunque tesse una trama sufficientemente articolata, non sempre all’altezza, ma con anche buoni numeri a disposizione.
Soprattutto, abbonda di classici trucchetti del mestiere (e del genere), con alcuni autentici giochi di prestigio e un tappeto musicale calibrato all’occorrenza e pure assiduamente presente.
In aggiunta, si somma il fascino recondito delle vecchie case - vascelli vuoti che portano appresso gli epitaffi e i segni di vite vissute – con il fattore scardinante legato alla parapsicologia (visioni anticipatorie e segnali preoccupanti), il passato e il presente in navigazione nelle stesse acque e la memoria compromessa/riattivata che conduce a reazioni involontarie, con il controllo su se stessi e ciò che accade intorno sempre più incerti.
Gran parte di questo peso, grava su Abbie Cornish, che si presta all’uopo con abnegazione, ma poi c’è anche la casa, che vuole tutto per se stessa e quelle anime che non l’hanno mai abbandonata.
Insomma, niente che possa iscriversi al campo di novità, ma non difetta in fatto di tensione indotta, creando anche una discreta atmosfera - come nel caso di un labirinto di fieno che ha un ingresso e zero uscite – perdendosi però in approssimazioni evitabili e casualità che non giovano a ciò che già non è discutibile, semplicemente perché proveniente dall’irrazionale.
Tra istantanee stilettate di talento e qualche caduta di tono (di troppo).
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