Regia di James Franco vedi scheda film
Siamo uomini e caporali.
La discutibile battaglia, o: nel dubbio...pugna, lotta, combatti.
Dopo Cormac McCarthy (“Child of God”, scritto nel 1973-'74, ambientato nel Tennessee a cavallo tra gli anni '50 e '60 e girato nella prima metà del 2012),
William Faulkner (“As I Lay Dying” (dall'XI° libro dell'Odissea omerica: “Two Gates of Sleep” di Alistair Banks Griffin del 2010), scritto nel 1929-'30, ambientato nel Mississippi dello stesso periodo e girato nella seconda metà del 2012, e “the Sound and the Fury” (dal V° atto, scena 5a, del “Macbeth” shakespeariano: “Macbeth” di Tarr Béla del 1982), scritto nel 1929 (1945), ambientato nel Mississippi dello stesso periodo, con escursioni negli anni '10 e dal XVII°-XVIII° secolo fino alla WW2, e girato nella prima metà del 2014),
e Steve Erickson (“ZeroVille”, scritto nel 2007, ambientato nella HollyWood degli anni '60 e girato nella seconda metà del 2014),
e prima di William Gay (“the Long Home”, scritto nel 1999, ambientato nel Tennessee degli anni '40 e girato nella seconda metà del 2015),
James Franco dirige, nella prima metà del 2015, questo “In Dubious Battle” (dal “Paradise Lost” di John Milton : i poveracci lasciano le beghe tra Dio e Satana a quei due, ché qui sulla Terra c'è tutto un Potere kafkiano da sconfiggere), scritto da John Steinbeck nel 1935-'36 (“primo capitolo” della cosiddetta “DustBowl Trilogy” cui si aggiungeranno in sequenza “Of Mice and Men” e “the Grapes of Wrath”) e ambientato nella California degli anni '30.
Jim disse: “Dovreste pensare soltanto al fine, dottore. Da tutti questi trambusti, deve sorgere qualcosa di nuovo. E tutto ciò è degno di essere vissuto”.
“Jim, vorrei pensarla così. Ma la mia poca esperienza mi dice che il fine non è mai molto diverso, in natura, dai mezzi impiegati. E temo, il diavolo mi porti!, che con la violenza potrete creare solo dei fatti violenti”.
“Non lo credo”, disse Jim. “Tutte le grandi cose hanno inizi violenti”.
“Non ci sono inizi,” disse Burton, “né fini. Mi pare che l'uomo si sia buttato in un'oscura e paurosa lotta da un passato che non ricorda a un futuro che non può prevedere né capire. E l'uomo ha incontrato e sconfitto ogni nemico, tranne uno. Non può vincere se stesso. Come odia se stesso il genere umano!”
Libido populista, elenco strutturato di fatti “scelti/accadauti”, “raccolti/successi” [dal gionalista-reporter John Steinbeck - tradotto in italiano da Eugenio Montale per Bompiani (i brani in corsivo citati in questa pagina sono tratti da quell'edizione), con prefazione di L.Sampietro -, tra l'immersione nell'Ammazzatoio di Emile Zola e il lavoro pasoliniano (joyce-gaddiano sarebbe troppo) sulla lingua proletaria], anamnesi politico-scientifica. La cronaca strappata all'altare del Mito (politico, fanatico, epigenetico, inevitabile) e deposta in vetta all'arte imperitura (un emulo moderno: David Peace). “In Dubious Battle” è un film (e un romanzo) verhoeveniano (mccarthyano) nella patologica oggettività con cui osserva il mondo.
“Odiamo il capitale investito che ci tiene schiavi.”
Un romanzo composto per ¾ da dialoghi (ma no, non è il Gaddis di “JR”…), e un film ch'è teatro en plein air, nel quale viene ridimensionata un poco la figura del Dottor Burton (ma il suo PdV, per contro, abbraccia tutto il film, e la scena didascalico-retorica in cui se ne va durante il pestaggio-interrogatorio del traditore ne riassume lo spirito, un residuo vestigiale di coscienza morale, di scelta-compromesso ancora possibile) e viene rispettata in pieno quella di Mr. Anderson, piccol(issim)o proprietario terriero (un meleto dell'Apple Valley), elemento “ponte” tra i capitalisti [i grandi coltivatori e distributori che prenderanno, durante lo sciopero indetto a oltranza dai loro lavoratori-raccoglitori (3$ al giorno in vece di 1$), il controllo tanto dell'amministrazione pubblica, insediando al posto dei politici eletti altri, loro, fantocci migliori, quanto delle forze di polizia e del tribunale, sostituite con militari-mercenari riservisti] e il popolo dei braccianti-migranti in sollevazione, e che riesce a gestire lo scorrer del tempo romanzesco in maniera perfetta, permettendosi pure un twist finale nei confronti dell'impostazione della responsabilità che Steinbeck volle consegnare ai suoi caratteri: lo spudorato maestro Mac McLeod e il totalizzante allievo Jim Nolan (“a couple of reds”) nel frutteto si scambiano i ruoli, la raffica di mitraglia e il sacrificio/martirio…
[Nota a margine. Twist che scompare di fronte ad un altro, quello presente nella quarta di copertina del volume pubblicato dai tipi Bompiani che recita testualmente: “Nel 1933 il presidente degli Stati Uniti d'America Theodore Roosevelt si trovò a dover fronteggiare una crisi disastrosa, conseguenza diretta del crollo del '29”, frase riportata paro paro, pari pari, copia-incolla e via, da tutti i maggiori siti di vendita on-line di libri dell'internette: Amazon, IBS, LaFeltrinelli… E alcuni l'hanno pure editata, inserendo una virgola dopo “America” e un'altra dopo “Roosevelt”, quasi come a voler involontariamente ed inconsapevolmente circoscrivere, evidenziare e rafforzare lo strafalcione. La casa editrice fondata da Valentino Bompiani, poi, nulla ha cambiato dall'edizione del 2000 a quella del 2015! Ma porco cazzo.]
“Dio mio, mi fai paura.” – Mac a Jim
Cast imponente, monumentale: oltre alla coppia di protagonisti (una classica prova di James Franco e una più complessa parte per Nat Wolff, che raggiuge il suo culmine sul piccolo palco di casse e bancali di legno, in cui per un momento si tramuta in Furia), offrono prove mimetiche, eccezionali Vincent D'Onofrio, Ed Harris, Sam Shepard e Robert Duvall (e dio santo), ai quali si aggiungono una sorprendente Selena Gomez (Spring Breakers), le ottime Analeigh Tipton e Ahna O'Reilly, e ancora: John Savage, Bryan Cranston (impressionante comparsata), Scott Haze e Zach Braff.
La Georgia interpreta la California.
Fotografia di Bruce Terry Cheung, sodale di James Franco. Operatore alla macchina principale e alla steadycam: Jerry Franck. DCP, 2.35:1.
Montaggio piano ed essenziale di Aaron I. Butler e Gary D. Roach (quest'ultimo da 20 anni con Clint Eastwood, e ultimamente al lavoro su “Prisoners” di Denis Villeneuve del 2013, co-montato con...Joel Cox, e il cerchio si chiude).
Musiche di Hauschka (Volker Bertelmann), in perfetta sintonia d'intenti con immagini e montaggio, mai prolisse o sentenziose, mai superflue o invadenti. A chiudere, “Which Side Are You On?” di Florence Reece del 1931 (altra County degli U.S.A., quella di Harlan, Kentucky, alla quale tornerà 40 dopo Barbara Kopple in seguito alla seconda grande ondata di scioperi che ivi si scatenò) nella versione degli Almanac Singers.
Woody Guthrie, Pete Seeger, Natalie Merchant, i Dropkick Murphys, Tom Morello e molti altri la riproposero nel corso del tempo, anche, ovviamente, modificandola per destinarla al nuovo contesto storico, geografico, economico, politico e sociale (ma mantenendone sempre intatto ed integro lo spirito) : Billy Bragg ne fece un adattamento in occasione degli scioperi dei minatori inglesi del National Union of MineWorkers a metà anni '80 (e così si ritorna a David Peace e al suo “84”), mentre Ani DiFranco la rilanciò e riscrisse durante la campagna a favore di Bernie Sanders in corsa per le primarie presidenziali democratiche del 2016.
“A me pare che l'uomo si sia gettato in una lotta cieca e spaventosa per sfuggire a un passato che non può ricordare, verso un futuro che non può né prevedere né comprendere. L'uomo ha affrontato e vinto tutti gli ostacoli, tutti i nemici, tranne uno. Se stesso. Quanto si odia l'umanità?”
Siamo lavoratori e crumiri, uomini e caporali.
[ * * * ¾ - 7 ½ ]
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