Regia di Travis Knight vedi scheda film
Dall'inarrestabile flusso postmoderno del cinema d'animazione vediamo, ogni tanto, schiudersi - e chiudersi in sé - dei micro-mondi: per almeno cinque volte, osservando da più vicino, ci accorgiamo essere dei prodotti Laika.
Kubo (and the two strings, titolo per inciso molto più indovinato della sfortunata traduzione) è un gioeillino senza tempo, che sembra astrarsi da tutto ciò che gli è contemporaneo: nel momento in cui il cinema d'animazione sembra essere sempre più vittima di continui rimandi extra-filmici, anacronistiche decontesualizzazioni e imposte contestualizzazioni, l'ultimo film della Laika costruisce e abita il proprio mondo. Le tematiche, lo stile e il ritmo del film (fortunatamente) si distaccano dal frenetico (e isterico) panorama in cui potrebbero iscriversi e più che adeguarsi alla comune narrazione del mondo, cercano di crearne una propria.
L'ironia e le gag, finalmente, non sono più il pretesto (volgare, triviale, banale) per un'intera scena ma è proprio la scena a diventare il pretesto per un humor sottile che, sequenza dopo sequenza, ci accompagna per tutto il lungometraggio, fino alla catarsi finale.
Il film ha il merito di portare avanti, più o meno consapevolmente (probabilmente più, visto che non ci viene difficile immaginare il dragone finale come una gigantesca gallina sputafuoco), una riflessione sul proprio medium: il protagonista intrattiene il pubblico attraverso la sua abilità di fare animare dei fogli di carta; lo esorta ad appassionarsi e a dimenticare tutto il resto, senza distrarsi, perché solo così "il nostro eroe" potrà sopravvivere. La Laika, così, attraverso la sua abilità di animare la materia inerte, ci esorta a dimenticare il frenetico e bulimico cinema d'animazione, per accompagnare il protagonista e aiutando, questa volta noi e questo tipo di cinema, a sopravvivere.
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