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Ouija: L'origine del Male

Regia di Mike Flanagan vedi scheda film

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La recensione su Ouija: L'origine del Male

di alan smithee
6 stelle

Flanagan gira senza sosta, anche questa volta restando in zona horror, dirigendo un prequel dal sapore e fascino vintage, condotto con celata ironia, ma anche forte di un epilogo spietato davvero poco rassicurante nei confronti di molti tra i personaggi su cui l'autore pareva invece essersi quasi affezionato.

La tavoletta Ouija è un arnese costruito per poter comunicare mediaticamente con gli spiriti dei defunti. O almeno questo crede – o fa credere ai clienti - chi si fa parte di mediare alle conversazioni con le anime dei trapassati.

Con la direzione dell’esperto e molto ben considerato (oltre che in effetti piuttosto bravo) Mike Flanagan, si riprende l’oggetto misterioso ed un po’ inquietante che ha dato vita ad un primo episodio, a quanto letto in giro non memorabile (ma mi riservo di vederlo entro breve), per dedicarci con questo film ad un prequel, ambientato a fine anni ’60.

Un po’ prima degli anni di The Conjuring insomma, e seguendo il filone di un certo successo dell’horror a sfondo vintage, curato nell’ambientazione con dovizia di particolari, costumi completamente attinenti, colori pastello e pettinature cotonate come usava a quei tempi.

Una giovane vedova sbarca il lunario e mantiene le due figlie (una bambina ed una teenager) ricevendo clienti e mettendoli in contatto con gli spiriti dei propri cari: non senza imbrigli plateali, organizzati accuratamente con l’aiuto delle bambine, ma senza vera malizia: con la volontà di arrecare bene rassicurando la clientela, e ricavandone qualcosa in modo da sopravvivere e riuscire a mantenere la bella casa comprata dal marito anni addietro.

Il giorno in cui la mamma-medium si convince a comprare in un negozio di giocattoli un gioco Ouija per rendere ancora più convincente, realistico e plateale lo spettacolo con cui coinvolgere la propria clientela, anche grazie ad opportuni scaltri adattamenti scenografici apportati per l’occasione, qualcosa di storto o di imprevisto fa sì che la bambina venga poco per volta posseduta dallo spirito di un malvagio anziano abitante della casa, appartenente alla figura di un ex gerarca nazista rifugiatosi in quella casa dopo la fuga oltreoceano.

Ad aiutare la famiglia un temerario sacerdote, rettore della scuola frequentata dalle figlie (lo interpreta Henry Thomas, ex bambino prodigio al cinema, indimenticato protagonista di E.T. di Spielberg, ora quarantenne accigliato somigliante ad un nuovo Anthony Perkins.

Flanagan sa come intrattenere il suo pubblico, come giocare con gli elementi della suspence, come sfruttare i singoli personaggi fino al loro quasi inevitabile sacrificio a supporto della storia, in cui nulla di veramente nuovo viene detto o raccontato.

Ma l'atmosfera vintage in fondo funziona, così come gli effetti speciali semplici e un pò retrò (quelle pupille bianche inquietanti paiono un richiamo, un omaggio sentito al miglior horror fatto in casa da Lucio Fulci tra i '70 e gli '80)

Un finale furbo e sentenzioso chiude maliziosamente la vicenda, lasciandosi, come di consueto, ampi e seppur vaghi spiragli per eventuali rielaborazioni o capitoli successivi.

Puro mestiere dunque, ma organizzato con cura e voglia di sfornare un prodotto che evita eccessivo ricorso a gore o effetti sorprendenti, ma scandito da ritmi e situazioni magari risapute, pressoché telefonate, ma in grado tuttavia di portarsi avanti nel suo epilogo cupo e senza molte speranze, assicurando la possibilità di catturare a sé l’attenzione anche del pubblico meno portato per il genere orrorifico puro.

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