Regia di Paul Greengrass vedi scheda film
Torna Bourne, Jason Bourne, quello vero con Matt Damon in azione e Paul Greengrass, uno dei migliori artigiani in servizio a Hollywood, alla direzione, per cui è ovvio che i tanti affezionati della prima ora - la trilogia originale - abbiano manifestato un interesse enorme verso questo progetto.
Se la delusione rimane assai distante dall’essere provata, si può comunque registrare qualche mugugno, soppiantato (in buona parte) da una maestria tecnica cui il cinema dei grandi numeri americano non è più avvezzo.
Quando Nicky Parsons (Julia Stiles) entra in possesso d’informazioni basilari su Jason Bourne (Matt Damon), lo contatta e le loro comunicazioni mettono in allarme la Cia, nella fattispecie Robert Dewey (Tommy Lee Jones) che vuole eliminare dai giochi l’ex agente scomparso da tempo dalla circolazione.
Così, se ufficialmente assegna l’incarico di trovare Bourne alla determinata Heather Lee (Alicia Vikander), spedisce sul campo anche Asset (Vincent Cassel), il cui unico obiettivo è uccidere chi considera essere un traditore.
Mentre Bourne scopre tasselli fondamentali del suo passato, si avvicina la resa dei conti con chi lo vuole fuori dai giochi.
Ci sono cose che è meglio non sapere, soprattutto se ci si ritrova nei dintorni di un punto critico, ma quando ci si chiama Jason Bourne, e si pregusta il sapore dell’agognata verità, nessun pericolo può fare realmente paura.
Per carità, prende botte, compie ruzzoloni, precipita dal quinto piano, ma sappiamo che in qualche modo ne uscirà sempre.
Paul Greengrass attiva un meccanismo che è un’ode allo spettacolo evoluto attraverso quattro macrosequenze – Atene, con i disordini di piazza che richiamano il caos legato alle vicende segrete degli enti governativi più influenti del globo, Berlino, Londra e Las Vegas – senza reali intervalli riflessivi.
Riesce a movimentare anche una ricerca di dati e il montaggio impone ritmo anche alle azioni più semplici, figuriamoci a quelle più lunghe e complesse.
Il livello tecnico, almeno sotto il punto di vista cinematografico, è molto alto, ma la costruzione alla fin fine appare controllata per non dire liscia, così che Jason Bourne finisce con l’essere prevedibile, tanto che in ogni settore s’intuisce precocemente quanto avverrà, almeno nel suo estratto saliente.
Un difetto sostanziale che non si riesce a rimuovere nonostante il pregevole formato action e il carico identificativo del personaggio che questa volta compie il passo più cospicuo dell’intera saga.
Anche il cast segue l’indicazione d.o.c. di alta appetibilità; Matt Damon, altrove oggetto di (almeno presunti) salvataggi (Salvate il soldato Ryan, Interstellar e The martian), è anima e corpo inscindibile con il suo coriaceo personaggio, Tommy Lee Jones e Alicia Vikander sono strumenti del riquadro dai quali ricavi esattamente ciò che ti aspetteresti (purtroppo, interpretazioni di routine), mentre Vincent Cassel è agguerrito e fascinoso nella risolutezza del suo personaggio.
Così, Jason Bourne lascia un sapore contrastato, non si può dire che sia particolarmente zoppicante ma nemmeno soddisfa fino in fondo, è sempre pieno ma non arriva mai a sfondare (se non le scenografie), imbastito per segnare un deciso approdo, ma è anche un lascito per future avventure, nel caso, si spera, con scenari rinnovati e ampliati.
Poche sorprese, tante qualità tecniche e quantità da vendere.
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