Regia di Paul Greengrass vedi scheda film
Non è propriamente brutto ma è inutile girarci troppo attorno: il peggior difetto di questa nuova pellicola di Jason Bourne è che è una pellicola di Jason Bourne.
In cabina di regia torna nuovamente Paul Greengrass dopo che in The Bourne Legacy ha lasciato il compito a Tony Gilroy, storico sceneggiatore della saga fin dal primo capitolo del 2002 (diretto però da Doug Liman), così come torna come protagonista anche Matt Damon sempre nel ruolo di Bourne, assente nella precedente pellicola di Gilroy, presentando tutto ciò che ci si aspetta da un sequel di Jason Bourne ma tutto sembra ormai stranamente soffocato dalla troppa consapevolezza di sè fino a sembrare eccessivamente ripetitivo o (addirittura) superfluo, come se il film si perdesse nelle proprie certezze, come ammirandosi in uno specchio, dimenticandosi però della storia e (soprattutto) dell'uomo al centro di tutto.
Jason/David ha ritrovato la memoria ma non ancora una sua identità.
Non ha famiglia o amici, non ha un luogo in cui vivere o che possa considerare casa, non ha una vera patria e i suoi ex-colleghi della CIA continuano a dargli la caccia.
Lui continua a muoversi, continuamente, nascondendosi nell'ombra e guadagno i soldi per sopravvivere con la lotta clandestina o con altri espedienti purchè lo tengano lontano dai riflettori ma il film manca completamente di una evoluzione. Sia nella storia che nel personaggio.
La sceneggiatura, tra l'altro dello stesso Greengrass, imbastisce una storia (troppo?) tradizionale e data l'eccessiva dipendenza, strutturale e iconografica, con i precedenti film della saga anche troppo prevedibile.
La solita CIA madre di tutti i mali del mondo (qui rappresentata dall’invecchaito Tommy Lee Jones), un genio informatico novello Zuckerberg (Riz Ahmed) e tematiche di strettissima attualità e ricca di notevoli implicazioni sul dopo “Snowden” e su chi ha davvero il controllo della rete richiedono però un trattamento ben più rispettoso e accorto rispetta a quella troppo semplicistica operata dagli sceneggiatori.
Sorvoliamo poi sul movente paternalistico del ritorno in azione di Bourne e sulla lunga azione finale probabilmente più adatta in una pellicola di Vin Diesel (o di Dwayne Johnson).
Unico elemento davvero interessante di questo nuovo capitolo è invece l'ambiguo personaggio di Alicia Vikander, ambiziosa e scaltra agente della CIA che sembra possedere tutte le caratteristiche per essere davvero una villain capace di tenere testa a Jason Bourne.
Purtroppo è quasi come se a questa saga stia succedendo quello che è successo al suo più iconico e famoso predecessore, ovvero 007, ed è ironico che proprio il personaggio che con le proprie innovazioni al genere ha costretto James Bond ad evolversi subisca ora qualcosa di molto simile, ovvero rimanere standardizzato nella propria convenzionalità, non eccedendo in semplicismi ma nemmeno diversificandosi a dovere, in una fossilizzazione a cui si aggrega anche il suo stesso regista non provando a modificare niente ma (anzi) adagiandosi pigramente in quello che gli è riuscito meglio in passato.
Completano il cast Julia Style, Scott Shepherd e Vincent Cassell.
VOTO: 5
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