Regia di Babak Anvari vedi scheda film
E’ triste constatarlo a più riprese ma il genere horror sembra ormai incanalato in un’inesorabile spirale discendente dalla quale non pare riuscire a sottrarsi. Ed ecco che ci si ritrova ancora una volta davanti ad un film che risultava tanto interessante sulla carta quanto in sostanza deludente e convenzionale giunti al dunque.
Uno di quei film che, pur potendo dare molto di più, si accontentano invece d’accasciarsi s’una monotona routine sedicente orrorifica che in realtà non fa più paura a nessuno.
L’ambientazione, quantomeno, è originale (e potenzialmente stimolante) ma finisce per risultare del tutto fine a se stessa. Si suppone voglia dire qualcosa con la scelta della stessa, il giovane regista-sceneggiatore. Eppure anche questa scelta appare, per l’appunto, piuttosto gratuita e non particolarmente giustificata (se non per l’inserimento dei “jinn” come elementi di paura, che però essi stessi non hanno un bel nulla di originale, per lo meno se si tiene conto delle ultime migliaia di anni di storia umana).
Qualsiasi spunto di interessante critica sociale, o se si vuole d’osservazione etnologica, rimane sullo sfondo e non risalta più di tanto. Peccato che a non farlo sia anche l’horror che si vede poco, solo sul finale, e male. Meglio: si vede proposto in modi e maniere piuttosto convenzionali e scontati (unica “invenzione” d’un certo fascino: il chador che si tramuta un gigantesco telo ondeggiante e asfissiante), dunque per diretta conseguenza ben poco inquietanti.
E, in ultima analisi, il film si rivela anche piuttosto ambiguo. Del resto, quale vorrebbe mai essere il messaggio che intende trasmettere (perché è evidente che un qualche discorso di senso tenta disperatamente di costruirlo)? Difficile dirlo, ma tuttavia col procedere della narrazione una ben poco simpatica (e, questa sì, alquanto sinistra) interpretazione soggiunge alla mente: che non sia forse che la madre, donna “troppo” libera ed emancipata, che non sa stare bene dietro alla figlia, accudirla come si dovrebbe, perché sempre “troppo” presa da facezie pseudo-intellettuali come ad esempio cercare di studiare per vedere di sviluppare un minimo la propria persona, avesse bisogno di essere messa in riga?
Che una simile miscredente progressista e non bloccata criogenicamente ad un’età e mentalità medievali, avesse proprio per questo motivo bisogno di essere messa al corrente del fatto che Dio, spiriti e affini esistono effettivamente e sono prontissimi a sottrarle quanto le è più caro?
Come sempre accade, è nelle speranze che non fosse affatto questo il messaggio che l’autore intendeva trasmettere, ma è difficile ignorare, comunque, il fatto che il film, se si eccettua l’ottima interpretazione della protagonista (che, per altro, ha davvero vissuto l’incubo dei bombardamenti iracheni su Teheran), ha ben poco da offrire, se non superficialità e jump-scares a profusione.
In definitiva, L’ombra della paura funziona meglio come dramma, ma solo nella prima mezz’oretta e nonostante non dica nulla di nuovo, ma nell’insieme lascia alquanto a desiderare e non fa quasi per nulla paura.
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