Regia di Babak Anvari vedi scheda film
Commistione di generi per un thriller metafisico che utilizza con destrezza il budget a disposizione per suggerire un climax di opprimenti angosce domestiche che prediligono gli effetti sonori alle usuali trame musicali ed in cui gli svolazzamenti di variopinti chador animano l'eterea consistenza di creature fatte d'aria che tramano nell'ombra.
Rimaste sole in casa a seguito del richiamo al fronte del capofamiglia, Shideh e la piccola Dorsa devono vedersela con lo spauracchio dei bombardamenti irakeni su Teheran e con una misteriosa entità sovrannaturale che inizia ad assediarle. Quando tutti gli altri coinquilini abbandonano la propria abitazione per sfuggire al conflitto, la situazione precipita in un incubo ad occhi aperti popolato da misteriose creature che si celano nell'ombra e che sembrano precludergli ogni possibile via di fuga.
Shideh e i Djinn
Forte di una connotazione ambientale riferita ad un contesto storico che accentua l'isolamento e le angosce di una mammina progressista nell'Iran post rivoluzionario dell'Ayatollah Khomeini e dei bombardamenti irakeni finanziati dall'ex comune alleato americano, questo horror persiano di produzione anglo-mediorientale modula con discreta originalità gli elementi più eminenti del thriller soprannaturale alla James Wan con quelli più militanti del cinema di impegno civile che tanto va di moda nelle kermesse festivaliere del vecchio continente. Nessuno dei due aspetti rappresenta di per sè un difetto o una colpa, intendiamoci, ma quello che riesce da questa crasi programmatica tra le aspettative di un cinema alto e le derive di un cinema altro finisce inevitabilmente per annacquare le buone intenzioni del primo e depotenziare le connotazioni spettacolari del secondo, apparecchiando un curioso parallelo tra l'oppressione di un potere temporale che si regge sulla legge sacra (Shari'a) e quella di misteriose creature ancestrali che ne rappresentano una ideale controparte metafisica: come dire la corruzione di un libero arbitrio che trasgredisce alla volontà divina attentando alla vita degli uomini quanto alla libertà della loro anima. Diviso sostanzialmente nelle due parti di una vicenda familiare che si alimenta dei residui di una frustrata rivoluzione veterofemminista (l'università, il ruolo della donna, i modelli d'importazione in VHS) e che precipita progressivamente nell'incubo di un assedio ultraterreno di spauracchi di prammatica, convince più per la sua attendibilità sociale e culturale (le contraddizioni di una uno spirito progressista tradito dalle strumentalizzazioni dell'autocrazia sciita, la figura del djin nell'immaginario teologico islamista) che per i rodati meccanismi di un cinema di genere che suggerisce la paura col fuori campo e l'uso della fotografia, per poi risolversi nelle usuali concitazioni finali a base di pavimenti in cui sprofondare, bambole possedute da rattoppare e luoghi infestati a cui sfuggire. Insomma dal solito psicodramma di una madre isterica in balia di occulte molestie psicocinetiche (Entity) e da quello di un'oscura maledizione a base di bilocazioni sul soffitto (Insidious) e bambole feticcio utilizzate come esca per una persecuzione inferica (Drag Me to Hell), la commistione di generi di un thriller metafisico che utilizza con destrezza il budget a disposizione per suggerire un climax di opprimenti angosce domestiche che prediligono gli effetti sonori alle usuali trame musicali ed in cui gli svolazzamenti di variopinti chador animano l'eterea consistenza di creature fatte d'aria che tramano segretamente nell'ombra.
Particolarmente adatta ed in parte, la bellissima Narges Rashidi, silfide tedesco-iraniana dagli occhi scuri che nasce proprio durante la transizione del regime e, come la piccola Dorsa che nel film interpreta la figlia, riparava con la madre in un seminterrato oscurato durante bombardamenti irakeni sulla Teheran di fine anni ottanta.
Dal Sundance al Sitges, dai BAFTA ai British Independent Film Awards, fino alla selezione per la Gran Bretagna come miglior film in lingua straniera agli 89th Academy Awards, un entusiasmo forse un po' dopato dalla provvidenziale distribuzione on demand dell'ormai consolidata realtà di Netflix&Co.
L'Ayatollah Khomeini per molti è santità
abbocchi sempre all'amo
le barricate in piazza le fai per conto della borghesia
che crea falsi miti di progresso
Chi vi credete che noi siam, per i capelli che portiam,
noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre
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