Regia di Babak Anvari vedi scheda film
In Under the Shadow la paura non è intrattenimento né sovversione del comune sentire. Il film parla della paura come di una materia viva, pulsante, incapace di essere dominata. Si infiltra in ogni cosa, fino a riempire ogni anfratto della nostra vita. Fino a divenire l'unica cosa reale.
La paura viene col vento, dalle crepe sul soffitto generate da una bomba inesplosa; si alimenta dell'umiliazione di un futuro che ci è stato portato via e di un nuovo, devastante presente.
Ci lascia disarmati, vittime di un incubo che non possiamo né controllare né razionalizzare.
Ci porta via, a pezzi, ciò che abbiamo più amato usando come arma ogni nostra fragilità, ogni incertezza.
Finito di vedere il film ero ancora tesa e disorientata, col fiato corto, in attesa di qualcosa che deve succedere.
Non mi capitava da davvero molto tempo di non riuscire a terminare un film con la fine della sua visione.
Non sono sicura che questa sensazione mi piaccia, si avvicina troppo alla paura reale, ma di una cosa sono certa: questo film è eccezionale. Ha un'anima ed è un'anima tormentata.
Il film parla anche in modo diretto e sofferto della condizione della donna in Iran. Ne parla di sfuggita ma gli occhi terrorizzati di Shideh sono gli occhi di una donna che mette in discussione tutto il suo mondo perché quel mondo, senza alcun preavviso, ha messo in discussione lei, tutto il suo potenziale, il suo ruolo, il suo operato e l'ha spinta nell'ombra e poi lasciata sola.
Il film è irripetibile non solo perché recitato e girato magistralmente ma anche perché è incastrato nel suo tempo al millesimo di secondo: non avrebbe potuto vedere la luce né prima né dopo questi anni.
Non vederlo vuol dire perdersi davvero qualcosa, ma vi avverto: anche vederlo vi porterà via qualcosa, inevitabilmente.
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