Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Buonissimo film e ottimo viatico per la successiva opera di Dennis Villeneuve, quel Blade Runner 2049 che diventerà inevitabilmente il punto di non ritorno per le notevoli ambizioni del regista canadese (e che il prossimo Dune metterà definitivamente alla prova), Arrival è un film di fantascienza sui generis in quanto soprattutto veicolo e pretesto per parlare invece dell'uomo e dei suoi conflitti (etici, esistenziali o materiali che siano) e che lo avvicinano a quel cinema sci-fi definito "umanista" e che si sostiene non con il suo aspetto più ludico e spettacolare ma grazie all'originalità e all'intelligenza di fondo delle sue opere.
Nonostante il budget considerevole (ma non eccelso) e un cast importante, Il regista canadese conserva un approccio rigoroso e intimista, da produzione indipendente, restando fedele alla propria eleganza formale e lasciando spesso che siano le immagini e le atmosfere a raccontare la storia, complice l'adesione totale del cast, a partire dalla sempre splendida Amy Adans, e di una fotografia livida ma comunque funzionale/emozionale.
Se il tema dell'invasione (!) aliena è già vista e rivista, infatti, Villeneuve punta invece tutto su una metafora narrativa sulla comunicazione e il linguaggio, interrogandosi sulla nostra maniera di comunicare e su come questa non solo ci definisca ma anche ci limiti, una simbolica barriera che ci separa come con gli eptopodi alieni del film che quella barriera (di vetro) invece la trasformano in una lavagna da usare non solo per comunicare ma anche per apprendere e insegnare anche in modo poi da abbatterla, quella barriera (e non certo con gli esplosivi).
Interessante quindi anche come in un film che parla soprattutto di linguaggio e comunicazione Villeneuve preferisca usare soprattutto il mezzo espressivo cinematografico per eccellenza, l'immagine, invece della parola per raccontarne la storia, specie nel finale, quando la soluzione non viene raccontata a parole ma mostrata attraverso le immagini e un certosino lavoro di montaggio o come l'identità stessa del padre della figlia di Louise, che non viene mai neppure menzionato una volta ma sempre suggerito, più volte, prima di rivelarlo definitivamente (e sempre e solo attraverso le immagini).
Ma vedi ad esempio anche un certo uso, da parte del regista, di immagini di stampo, diciamo, malickiano ma personalmente ho notato anche in almeno uno dei temi della pellicola - riguardo il tempo e alla sua percezione che inevitabilmente influenza il nostro modo di relazionarci ad esso e che se questa cambiasse anche il nostro modo di interpretarlo, e quindi di viverlo nel senso più largo del termine, cambierebbe - un fortissimo richiamo a tali tematiche.
Louise infatti sa esattamente che cosa significa mettere al mondo Hannah e anche quali ne siano le conseguenze (anche per il suo matrimonio) ma, nonostante questo, decide che la vita di quella bambina, per quanto breve, è molto più importante di qualsiasi altra cosa (e anche qui torna il concetto di tempo e di come viene percepita, una vita non è misurabile/quantificabile in basa alla sua durata ma indipendentemente da questo è sempre e comunque vita e quindi necessaria, fondamentale, assoluta), anche del dolore suo e del marito, anche se questo porterà alla loro rottura.
Tematiche che immagino siano già presenti nel libro (chiedo ulteriori lumi in proposito a chi lo ha letto, il libro) e che non sia quindi frutto del regista ma che, avvertendo egli stesso tali affinità o comunque un qualche legame con esse, sia stato semplicemente portato ad emularne un certo tipo di immagine rappresentativa, consciamente o meno che fosse.
In parole povere: che sia stata la pellicola stessa, e i suoi temi portanti, ad aver facilitato certe soluzioni visive tipicamente malickiane del regista.
O almeno questa è una mia personale interpretazione.
Molto interessante la rappresentazione della mitologia aliena (almeno per quel poco che ci viene mostrato) a partire dalla monolitica astronave, molto kubrickiana e dalla misteriosa e inusuale struttura ovale e nella quale io ho letto una certa metafora femminista che non si manifesta soltanto nel racconto ma anche attraverso la stessa figura della nave, una metafora del corpo femminile anche piuttosto diretta, dal vano che si forma "ciclicamente" proprio in fondo alla nave e che permette all'uomo (inteso in senso generico) di entrarvi all'interno attraverso l'uso di un carrello elevatore in una allegoria sessuale anche piuttosto esplicita, ma anche l'interno della nave inteso davvero come "ventre" (materno) e nel quale viene generato (simbolicamente) un nuovo futuro per l'umanità (e non sono forse i bambini il nostro futuro?) per proseguire poi alla rappresentazione stessa degli extraterrestri (evidente l'intenzione di renderli il più differenti possibili dall'uomo, scartando a priori la classica, e banale, figura umanoide) o dell'ambiente alieno con il tentativo di renderlo il più "improbabile" per la vita umana (e riuscendo comunque a renderne l'idea).
Un film di forma e contenuti, quindi, come raramente succede e di non facilissima assimilazione ma che è comunque una boccata d'aria fresca nel cinema di oggi e da accogliere quindi con favore in quanto poema spazio-temporale che, letteralmente, disegna una forma circolare che diventa la struttura stessa del film, una figura geometrica perfetta per un'opera che forse non è affatto tale ma, a dispetto delle ambizioni e di alcuni intellettualismi di troppo da una parte e certi compromessi dall'altra, con una sua comunque "grandezza" visiva e concettuale non soltanto interessante ma anche (probabilmente) importante.
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