Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
https://www.youtube.com/watch?v=rVN1B-tUpgs
Arrival è un film palindromo.
Inizia così come finisce.
Una visione circolare delle cose che si riflette nel linguaggio degli alieni.
Nel linguaggio del corpo e degli stati d’animo.
Nella comprensione che consente di trascendere i confini spazio-temporali e che può lì dove l’umano pensiero dominante non arriva. Ma dove arrivano i sentimenti.
L’arma.
A conclusione del film avevo quasi (sottolineo quasi) le lacrime agli occhi (ciò che mi capita di rado).
La verità è che Arrival non è il solito film di fantascienza da invasione aliena.
Arrival usa un linguaggio tutto suo, di nuovo conio per superare le barriere del tempo (e dello spazio), i pregiudizi e le fallacie del potere e creare una dimensione lattiginosa che lenisce l’inquietudine; feconda la Terra; pacifica le coscienze.
Un linguaggio che passa per immagini mai viste prima e per suoni di immemore profondità.
Il soggetto non è dissimile a quello di molti altri film e l’esito è pure scontato. Ancora una volta, poi, è l’incomprensione (collettiva più che individuale) il fattore destabilizzante e scatenante gli eventi. Una dimensione vetusta dove, però, stavolta si inseriscono (per l’appunto) novità dirompenti (per questa tipologia di film sci-fi) capaci di salvare il mondo. Dalla plasticità del tempo, deformato circolarmente, alla potenza iconica di memoria e ricordi. Ma soprattutto la tensione resiliente dei più profondi affetti, che abbatte ogni razionale resistenza e crea un vuoto… colmato dall’amore, tenero; assoluto.
Arrival è un film palindromo.
Finisce così come inizia.
Una visione circolare degli stati emotivi che si riflette nel linguaggio degli affetti.
Nella consapevolezza che schernisce le leggi dello spazio-tempo e che può lì dove l’umana dilagante debolezza non arriva. Ma dove arriva il cuore.
Il dono.
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