Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Eccolo qui, il biglietto definitivo per Villeneuve per entrare alla notte degli Oscar e per avere qualche stelletta sul petto per il seguito di "Blade Runner" (Dio me ne scampi fin d'ora). Se i suoi ultimi lavori, "Prisoners" e "Sicario", sono stati due gran pezzi di Cinema, qui delude, sotto quasi tutti i punti di vista. Che Villeneuve non sia un regista rozzo, squadrato, un Emmerich per intenderci, si sapeva, e questo è solo un bene, ma che tendesse, in certe sue pellicole, a filosofeggiare era cosa nota. Ecco, "Arrival" è una pedante lezione sul linguaggio e sulla spiritualità della nascita e della morte, mentre giganteschi calamari venuti dallo spazio aspettano solo di essere serviti con le patate, cosa che invece non accade. Quello che accade in "Arrival" è tutt'altro: niente. Il nulla elevato a filosofia, il Tempo, passato, futuro, morte, rinascita, cooperazione mondiale, gli occhi celesti col nasino all'insù di Amy Adams e un inutile Jeremy Renner, veramente sprecato. Il tutto è incapsulato in un Cinema elegante, sicuramente bello da vedere, ma freddo, come nel suo stile, che rimanda alle masturbazioni di Malick e, soprattutto, di Nolan. Ragazzi, questa è la fantascienza che vuole Hollywood, oggi, per cui, se non avete voglia di andare su produzioni minori ma decisamente superiori, dovete sorbirvi sta cosa e anche i dieci minuti di violini finali, che sono una delle cose più patetiche viste al cinema negli ultimi tempi. Un pastrocchio, un errore, una pena lunghissima, infinita, una barba cosmica. Non è la mia fantascienza, non è il mio Cinema. E ora polpo e patate, grazie.
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