Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Non posso considerare libero un essere che dentro di sé non nutra il desiderio di sciogliere i legami del linguaggio.
(Georges Bataille)
Opera(zione) cinematografica come iniziatico saggio metalinguistico.
Il film più importante di Denis Villeuneuve.
Arrival è ciò che sta all'interno del monolite nero presente nell'opera di Kubrick; la pellicola di Villeuneuve fa implodere la filosofia kubrickiana attraverso una "de-semantizzazione evolutiva", come riformulazione glottologica. Ciò che succede dentro di esso non è la prosecuzione di quel viaggio cosmico, ma l'inizio che poi porterà al proseguimento di quest'ultimo. Un necessario processo involutivo come spinta propulsiva per la continuazione di questo cammino concernente l'evoluzione.
Arrival cancella ciò che stava al principio, ovvero il Verbo. Annullando ogni dogma riguardante l'indispensabilità comunicazionale, compresa pure l'importanza primitiva della semantica del corpo tipica del pensiero glazeriano, espressa, ad esempio, con Under the Skin. Tutto ciò aggiorna definitivamente il valore concettuale del genere sci-fi.
Villeneuve mette alla base della comunicazione "l'idioma del gesto". Il regista canadese intraprende un fondamentale discorso teorico per quanto riguarda la filosofia dell'immagine proiettata (su uno schermo): bisognerebbe sciogliere i vincoli del linguaggio cinematografico, e riscrivere le coordinate di quest'ultimo, formulando una sorta di codice generale accessibile a tutti. Quindi affronta un ragionamento sull'importanza di un linguaggio universale dell'immagine, di conseguenza della proiezione di essa su un quadro visuale. Una sorta di filosofia sulla comunicazione visiva. Sul segno filmico impresso su schermo e sulla verità cosmica che esso trasmette all'osservatore/spettatore. L'immagine che non mente, quindi. Universalizzata. Comprensibile a chiunque. De-blockbusterizzata, de-sperimentalizzata. Appunto, ri-forma(tta)ta. Riportata alla sua purezza originale e incontaminata. Quindi, l'immagine come fonte di verità, che non può trarre in inganno. Ed è attraverso lo schermo che si possono (ri)creare dei segni come fonte di comunicazione globale, quindi proprio tramite la settima arte che si può cercare quel principio, quella filosofia che sta alla base dell'informazione, della trasmissione. Cinema, allora, come unico mezzo in grado di esprimere questo concetto. Di permettere il sopracitato processo. Come solo tramite salvifico. La comunicazione al di là dell'archetipo linguistico può avvenire grazie al contatto con lo schermo - proprio come capita a Louise - e apprendere ciò permette di sciogliere i vincoli del linguaggio, intesi anche come costrizioni temporali. Entrare addirittura dentro lo schermo/cinema - come Louise, ancora una volta - per percepire il tempo e liberarsi da esso, aprendolo, così da destrutturarlo, attraverso un processo di defissione filmica, di anti-tarkovskijana rilevanza cinematografica: il tempo risulta non lineare e si accartoccia su stesso, sovrapponendosi. Ecco perché Arrival potrebbe essere definito, da un punto di vista teorico, il lungometraggio più complesso e rivoluzionario di Villeneuve, ma anche il più interessante per ciò che concerne l'aspetto formale: in base a quest'ultimo, si pensi alle sequenze relative ai "ricordi" in cui a prevalere sono dei movimenti di macchina e un montaggio malickiani, che differenziano nettamente la mise en scene: immagini più calde correlate al "futuro"; più fredde, invece, per quanto riguarda il "presente".
La settima arte, quindi, è il linguaggio definitivo, universale. Il Cinema è un'arma. Il Cinema è un dono.
Da un punto di vista metacinematografico, il film potrebbe essere tradotto così: Louise raprresenterebbe lo spettatore/osservatore. Il Vetro raffigurerebbe lo schermo. Gli Alieni simboleggerebbero le mani - notare la forma dei dure extraterrestri - del regista/cinema che creano questo nuova comunicazione filmica.
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