Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
«Mamma e papà parlano agli animali».
Storie.
Una storia inizia quando “loro” arrivano. Una storia inizia quando loro partono.
Cinema palindromico e circolare, Arrival: da qualunque verso lo si legga, in qualunque tempo lo si collochi (e lo si faccia scorrere), racconta sempre la stessa, struggente idea. L'idea del (concepimento del) tempo, la sua decodificazione, la sua rappresentazione. Il linguaggio. Infine: la scelta; l'azione dell'uomo di fronte all'ignoto (simbolicamente, le entità dall'altro mondo/altroquando) nel preciso istante in cui si evolve in noto.
Storia già scritta ma da scrivere.
Da vivere.
Un «gioco non a somma zero» nel quale le parti del tutto - uomo e donna, passato e futuro, paura e speranza, nascita e morte, numeri e parole, flashback e flashforward - si fondono e si annullano, trascendendo spazi e cicli e codici - universali, filmici, introspettivi - per comporre uno studio filosofico e concettuale sull'umana natura.
Arrival, a partire dalla novella di Ted Chiang (Story of You Life) di cui è la trasposizione (in “altra” forma), è fantascienza umana più che umanista; come “Human” è il primo termine da far comprendere a “loro” - gli alieni eptapodi, palesatisi in enigmatiche astronavi (sorta di monoliti sospesi, nei cui ventri avviene il “contatto”) -, come splendidamente umana è la natura della scelta di Louise, e il suo processo/svolgimento.
Un'esplorazione - dolorosa, magnifica, necessaria - nelle profondità e negli interstizi della coscienza, negli scenari delle memorie (a venire), nella magmatica, stratificata materia di cui è fatta la – (ri)elaborazione della - realtà.
Alle origini della comprensione, e oltre.
Lo sguardo, lieve, si posa su Louise - e i suoi doni: la capacità di comunicare (con/tra i mondi), l'amatissima figlia, l'“arma” inestimabile ricevuta dai visitatori -; e il suo, di sguardo (fulgidi occhi che fendono, rischiarandola, tutta la nebulosità delle paure di questo mondo), è un abbraccio cosmico carico di bellezza (il disegno di una bambina: padre, madre, lei, un uccellino) e di sentimento (quello di chi conosce il proprio destino e decide di viverlo, fino in fondo).
Tra l'intensità, quasi soffocante, immensa, del sentimento, e la sua fine, sincera, armoniosa rappresentazione/astrazione lo scarto sublime che eleva l'opera a meravigliosa lettura - archetipica - dell'animo.
Attraverso forme e archetipi e grammatica della fantascienza (ovvero del genere che per antonomasia sonda psiche e pulsioni, individui e collettività), Denis Villeneuve - già tra gli autori più importanti, influenti, personali del panorama mondiale - fa della riflessione della fonte letteraria (e dell'ottimo script di Eric Heisserer) un'esperienza sfaccettata e immersiva.
Non sbaglia nulla, il regista canadese: l'essenza di Arrival vibra, pulsante e persistente, in ogni inquadratura, prospettiva, primo piano, movimento di macchina (eleganza, fluidità e lentezza: la superba composizione grafica-visiva), scelta dei suoni, respiro e drammaticità, scansione di tempi e luoghi, scenografie e design, in ogni sequenza (l'incipit, bellissimo e toccante da far male, è un saggio di maestria; il disvelamento della trama è da manuale; il finale tocca le medesime vette dell'inizio: circolare e stupefacente).
Fotografato stupendamente dal talento Bradford Young di A Most Violent Year (ma vale la pena recuperare il misconosciuto Ain't Them Bodies Saints), abile a catturare/creare il composito, denso acquerello di toni e temi e superfici, e contraddistinto da una colonna sonora spettacolare - l'evocativa On the Nature of Daylight di Max Richter apre e chiude, mentre dal sodale Jóhann Jóhannsson giungono ipnotiche, martellanti note “aliene” - il film - proprio come il più lungo, ambizioso, imperfetto Interstellar (binomio involontario e inscindibile: specchio dei tempi?) - s'impone già come punto di riferimento per il genere (e non solo).
E se arriva dritto al cuore, Arrival, è per merito di una stratosferica, fantas(cien)ti(fi)ca Amy Adams: sguardo che penetra la coltre teorica, occhi che catalizzano, restituendola, l'intera gamma delle emozioni e delle inquietudini (materne ed esistenziali), presenza che non si dimentica.
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