Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Arrivano gli alieni, ma gli effetti sono decisamente meno devastanti che nei fragorosi film di Emmerich: qui la loro presenza si manifesta con nobili intenti didattici, come in Incontri ravvicinati o in Contact. Villeneuve rimane imprigionato in una tela narrativa che, libera da vincoli spazio temporali, fornisce eccessiva libertà al racconto.
Arrival (2016): locandina
VENEZIA 73 - CONCORSO
Arrivano (di nuovo) gli alieni ma l'irruenza a cui ci ha abituato molto (troppo) cinema americano (Emmerich che ha bissato, dopo vent'anni, con un nuovo Indipendence Day) lascia il posto ad una discesa meno fragorosa, più stilosa, ma ugualmente dirompente e spettacolare, che la regia sapiente e scaltra ci centellina e soppesa con sapiente cura, fornendoci i dettagli poco per volta per accrescere l'effetto suspence.
Navicelle spaziali a forma ellitica si piazzano in otto zone del nostro globo sfiorando la superficie.
Il gota delle forze armate si presenta nella villa di una delle più note esperte di linguaggi, per investirla di un incarico davvero complesso: tradurre i segnali e i suoni che provengono dall'interno di una delle navicelle, nel tentativo di trovare una modalità di dialogo che permetta di stabilire un contatto con la civiltà extraterrestre.
Arrival (2016): Amy Adams
Arrival (2016): locandina
Nel frattempo la sceneggiatura si impegna a fornirci alcuni drammatici e basilari dettagli della vita della professoressa: la tragica vicenda della figlia morta prematuramente di leucemia in particolare e sopra ogni altro dettaglio. Il resto ci verrà rivelato in seguito, man mano che l'abile e perspicace dottoressa imparerà a decifrare l'alfabeto "concentrico" degli extraterrestri, in grado di andare oltre le regole spazio temporali per noi inflessibili, e rivelandoci l'esistenza di un circuito chiuso in cui inizio e fine sono destinati a subire importanti e definitivi mutamenti e capovolgimenti.
Un assurdo spazio temporale che rende superflua l'incognita temporale e permette agli alieni di renderci partecipi dei loro progressi per consentirci di aiutarli in un futuro remoto per noi impossibile da cocepire e valorizzare.
Per questo la storia già dall'inizio insiste sulla inutilità o non necessarietà di un inizio ed una fine: peccato che questo "tranello" finisca per giovare soprattutto agli sceneggiatori, in grado di dispensarci colpi di scena e svolte narrative senza doversi sforzare più di tanto di ricercarne nessi logici, almeno dal punto di vista temporale.
E se gli alienti assomigliano a delle grosse mani capovolte (come il manifesto ironico-sexy di Mash di Altman, ma con sette dita), i tentativi di dialogo e di contatto tra la dotteressa Amy Adams e il più loquace dei due "Gianni e Pinotto", diviene fonte di ingenuità e tendenziosità piuttosto smaccata e fastidiosa.
Arrival (2016): Jeremy Renner
Da Villeneuve, che qui scimmiotta i meccanismi che sfidano le regole inesorabilmente inviolabili come la gravità e la tridimensionalità care a Nolan, ci si poteva attendere decisamente qualcosa di meno scolastico ed effettato, di meno ricattatorio e lambiccato. Ed il rischio di rimanere imprigionati in una materia che sfiora l'impalpabilità e rende tutto teorico e prolisso come capitò pure ad un altro gran regista come Zemeckis nel confusionario e vuoto Contact, risulta invece concreta e tangibile come una impronta indelebile e rivelatrice.
Amy Adams ce la mette tutta nel ruolo, certamente sofferto, di una madre e moglie sconfitta e sola, che tuttavia si destreggia con un linguaggio matematico-sferico con la disinvoltura di una mente aliena, ma il film non riesce davvero ad avvincere e a convincere come lo è stata fino ad ora pressoché tutta la cinematografia di un grande autore come Villeneuve.
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È un vero peccato che Villeneuve si sia infilato in un cul-de-sac così prevedibile e impraticabile come la fantascienza filosofica ed i paradossi temporali, riuscendo nell'impresa di banalizzare una materia complessa e importante. E pensare che la complessità del suo linguaggio e delle sue tematiche avevano retto alla prova di un soggetto ben più insidioso e spiazzante come quello del libro di José Saramago in Enemy. Un vero passo falso. Francamente stupisce un consenso così generalizzato: si abbia il coraggio di dire che è un film poco riuscito e...andiamo avanti (fino al 2049?).
@maurizio e @fabio: concordo con voi, visto il palese rimescolamento di carte già ampiamente giocate da film precedenti e la vocazione piattamente mainstream dello stile non mi è sembrato davvero niente di speciale. Anche il discorso sul tempo è il solito rompicapo con esito familista. Un saluto.
sono d'accordo con tutte le vostre perplessità.
mutatis mutandis, è caduto nelle stesse trappole (vedi le capziose digressioni sui paradossi temporali) in cui è caduto Interstellar, anche se, forse per gusto personale, Villeneuve ha stilisticamente una marcia in più di Nolan (senso del mistero, uso più efficace e coerente della colonna sonora, ecc...).
il regista canadese, a mio avviso un po' meno a suo agio quando dirige pellicole prodotte negli USA (compresi Prisoners e Sicario), riprende alcune iconografie affascinanti già presenti nel bellissimo Enemy, (cieli, creature) e qui se le gioca in un prodotto per il grande pubblico.
per quanto riguarda la fantascienza in generale, stiamo vivendo un momento strano: da una parte le scoperte scientifiche sembrano dare nuova linfa e luce al genere, dando l'illusione di averci capito qualcosa, su di noi, il mondo e l'universo, ma non siamo che all'inizio della consapevolezza e della scoperta di questioni enormi e ancora insondabili.
con una certa presunzione, si pensa di potersela cavare, spesso ammantando di filosofia post-new-age opere che in fondo in fondo sono solo confezionate sempre meglio, ma un po' vuote.
a questo punto, non so proprio cosa aspettarmi dal suo Blade Runner 2049.
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