Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Arrivano gli alieni, ma gli effetti sono decisamente meno devastanti che nei fragorosi film di Emmerich: qui la loro presenza si manifesta con nobili intenti didattici, come in Incontri ravvicinati o in Contact. Villeneuve rimane imprigionato in una tela narrativa che, libera da vincoli spazio temporali, fornisce eccessiva libertà al racconto.
VENEZIA 73 - CONCORSO
Arrivano (di nuovo) gli alieni ma l'irruenza a cui ci ha abituato molto (troppo) cinema americano (Emmerich che ha bissato, dopo vent'anni, con un nuovo Indipendence Day) lascia il posto ad una discesa meno fragorosa, più stilosa, ma ugualmente dirompente e spettacolare, che la regia sapiente e scaltra ci centellina e soppesa con sapiente cura, fornendoci i dettagli poco per volta per accrescere l'effetto suspence.
Navicelle spaziali a forma ellitica si piazzano in otto zone del nostro globo sfiorando la superficie.
Il gota delle forze armate si presenta nella villa di una delle più note esperte di linguaggi, per investirla di un incarico davvero complesso: tradurre i segnali e i suoni che provengono dall'interno di una delle navicelle, nel tentativo di trovare una modalità di dialogo che permetta di stabilire un contatto con la civiltà extraterrestre.
Nel frattempo la sceneggiatura si impegna a fornirci alcuni drammatici e basilari dettagli della vita della professoressa: la tragica vicenda della figlia morta prematuramente di leucemia in particolare e sopra ogni altro dettaglio. Il resto ci verrà rivelato in seguito, man mano che l'abile e perspicace dottoressa imparerà a decifrare l'alfabeto "concentrico" degli extraterrestri, in grado di andare oltre le regole spazio temporali per noi inflessibili, e rivelandoci l'esistenza di un circuito chiuso in cui inizio e fine sono destinati a subire importanti e definitivi mutamenti e capovolgimenti.
Un assurdo spazio temporale che rende superflua l'incognita temporale e permette agli alieni di renderci partecipi dei loro progressi per consentirci di aiutarli in un futuro remoto per noi impossibile da cocepire e valorizzare.
Per questo la storia già dall'inizio insiste sulla inutilità o non necessarietà di un inizio ed una fine: peccato che questo "tranello" finisca per giovare soprattutto agli sceneggiatori, in grado di dispensarci colpi di scena e svolte narrative senza doversi sforzare più di tanto di ricercarne nessi logici, almeno dal punto di vista temporale.
E se gli alienti assomigliano a delle grosse mani capovolte (come il manifesto ironico-sexy di Mash di Altman, ma con sette dita), i tentativi di dialogo e di contatto tra la dotteressa Amy Adams e il più loquace dei due "Gianni e Pinotto", diviene fonte di ingenuità e tendenziosità piuttosto smaccata e fastidiosa.
Da Villeneuve, che qui scimmiotta i meccanismi che sfidano le regole inesorabilmente inviolabili come la gravità e la tridimensionalità care a Nolan, ci si poteva attendere decisamente qualcosa di meno scolastico ed effettato, di meno ricattatorio e lambiccato. Ed il rischio di rimanere imprigionati in una materia che sfiora l'impalpabilità e rende tutto teorico e prolisso come capitò pure ad un altro gran regista come Zemeckis nel confusionario e vuoto Contact, risulta invece concreta e tangibile come una impronta indelebile e rivelatrice.
Amy Adams ce la mette tutta nel ruolo, certamente sofferto, di una madre e moglie sconfitta e sola, che tuttavia si destreggia con un linguaggio matematico-sferico con la disinvoltura di una mente aliena, ma il film non riesce davvero ad avvincere e a convincere come lo è stata fino ad ora pressoché tutta la cinematografia di un grande autore come Villeneuve.
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