Regia di John Sturges vedi scheda film
Il meccanismo impostato dal capolavoro Mezzogiorno di fuoco ha palesemente fatto scuola nel western. Negli anni successivi infatti dei capolavori sono stati influenzati dallo stile e dalla parabola di tensione dell’uomo solo assediato dagli antagonisti di turno. Dopo il film del 1952 di Zinnemman difatti, cinque anni dopo un grande regista come Delmer Daves sviluppò una pietra miliare come Quel treno per Yuma, dando più spazio a degli aspetti intimi dei personaggi e dei riferimenti al melodramma; nel 1959 arrivò la risposta “polemica” di Hawks e John Wayne, con il claustrofobico Un dollaro d’onore in cui è però lo sceriffo a voler tutelare la comunità che rappresenta, decidendo di andare allo scontro con i nemici da solo (o meglio coadiuvato da una banda scalcagnata di alleati). John Sturges aveva già realizzato alcuni ottimi western, anche prendendo spunto da vicende portate al cinema (Sfida all’Ok Corral che si rifà alla celebre vicenda di Wyatt Earp così come aveva fatto, tra i vari, Ford con Sfida infernale), nel 1960 avrebbe realizzato un film dal successo strepitoso, I magnifici sette, remake in chiave western de I sette samurai di Kurosawa. Con Il giorno della vendetta Sturges filma una vicenda che ha il pregio di una tensione costante per l’intera storia: dalla brutale aggressione iniziale ai danni della moglie dello sceriffo, all’assedio ed al tragico epilogo finale. Tra i pregi si può rilevare anche una sostanziale assenza di una precisa love story, cosa pressochè imposta in ogni film dell’epoca (basti pensare in Un dollaro d’onore quanto lo sviluppo delle schermaglie tra lo sceriffoe la bella avventuriera sottraggano tempo, e tensione, all’azione). Naturalmente è presente un personaggio femminile (una prostituta indipendente e dal carattere ribelle che si rivela l’unica alleata dello sceriffo), ma questa figura non appare assolutamente disallineata con i ritmi della storia. Accorata come sempre l’interpretazione di Douglas a cui fa da contraltare un eccellente ed energico Anthony Quinn: vederli duettare insieme è di per sè un piacere per gli occhi. Earl Holliman, ben lontano dalla figura bonaria in cui lo avevo conosciuto ne I quattro figli di Katie Elder, è un viscido cattivo che si conferma tale per tutta la vicenda. Si può avvertire una certa mancanza di epicità nella vicenda che ne avrebbe potuto fare un capolavoro: nonostante la riconoscibile musica di Dimitri Tiomkin o la fotografia pulitissima di Charles Lang non vi sono sequenze che vanno particolarmente oltre al film diretto con gran professionalità.
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