Regia di Brian De Palma vedi scheda film
Un rampante broker di Wall Street, alla guida della sua Mercedes con la sontuosa amante al fianco, imbocca la strada sbagliata e senza rendersene conto si trova sbalzato dal mondo dorato di Manhattan alla giungla del Bronx. Eccolo qui, il De Palma più sottovalutato di sempre: prende un protagonista antipatico come pochi, gli fa fare un incidente insignificante, lo sballotta dentro una corrida giudiziaria-mediatica e gli fa ritrovare sé stesso. Perché questo è il punto: il nostro non è nato così, lo è diventato col tempo facendo il vuoto intorno a sé (far caso alle parole che immagina di dire alla moglie: “Senti, Judy, io ti amo ancora, voglio ancora bene a nostra figlia. Ma io sono uno dei padroni dell’universo: io merito di più”) e alla fine torna ad essere il tranquillo signor nessuno che era stato. Intorno alla vicenda principale, però, c’è un campionario umano dipinto con inflessibile cinismo: squali della finanza, giornalisti disposti a qualsiasi cosa per uno scoop (“La mia storia migliorava col passare dei giorni, lo sentivo a naso: c’era persino qualcosa di vero”), un predicatore populista, un magistrato con ambizioni politiche, un padre dai principi (quasi) incrollabili; si tocca il culmine con la grandissima requisitoria del giudice Morgan Freeman sul tema “siete tutti un branco di stronzi”, ma sono gli stessi personaggi che poi ritroveremo tra la folla di pecore plaudenti al divo di turno. Ritmo scattante, tono grottesco, virtuosismi stilistici meno pronunciati che altrove (da segnalare la funambolica scena che accompagna i titoli di testa e un breve split screen). E, proprio nell’ultima scena, la sardonica voce narrante risponde alla domanda di quel famoso best seller: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde la sua anima?”.
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