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Il gigante

Regia di George Stevens vedi scheda film

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La recensione su Il gigante

di scapigliato
8 stelle

Il Gigante del titolo è il Texas, ma può ben esserlo anche Rock Hudson, omosessuale criptato, la cui stazza è quella di un gigante. Ma può ben esserlo anche il regista George Stevens che ha firmato quello che può ben essere il "Novecento" americano (o texano almeno). Ma in definitiva il vero gigante può esserlo solo lui: James Dean. Non è retorica. Non è qualunquismo asserire che James Dean, quel James Dean nato e morto ribelle, icona popolare e quantaltro, è il vero gigante del film. Precisiamo subito due cose: dapprima James Dean, che preferisco chiamare Jimmy, dal 1951 al 1955 aveva partecipato anche a numerosissime produzioni televisive, oltre che a calcare le scene a teatro. Del 1955 è il suo primo film da protagonista, visto che ci sono tracce di lui in almeno due pellicole per il cinema da non accreditato. Si tratta di "La Valle dell'Eden" di un'innamorato Elia Kazan. Seguirà il celebre "Gioventù Bruciata" di Nick Ray, e infine "Giant" di George Stevens. La seconda cosa da notare è che il suo primo film "La Valle dell'Eden" uscì nell'aprile del '55; fece in tempo a girare anche gli altri due, ma prima che le riprese de "Il Gigante" finissero morì nell'ormai celebre incidente d'auto sull'allora strada statale 46 della California nei pressi di Cholame (oggi U.S. Highway 466). Il grande pubblico lo vide da vivo solo all'uscita de "La Valle dell'Eden" dove già veniva evidenziata la sua grandezza oppositiva al "vecchio" con un ruolo di figlio ribelle al padre padrone, accentuato, codificato e glorificato in seguito con "Gioventù Bruciata". Ma ormai la frittata era fatta: Jimmy Dean aveva superato Marlon Brando. Nei cuori degli spettatori era entrata con forza quell'immagine di ragazzo ribelle che avrebbe poi fatto il paio con "Il Seme della Violenza" di Richard Brooks, anch'esso del '55. Ne "Il Gigante", la cui storia articolatissima e spesso pedante può essere saltata a piedi pari per lasciare spazio a ciò che del film è l'essenza stessa (ovvero Jimmy Dean e la bellissima set decoration di Ralph S. Hurst, per la quale fu pure nominato all'Oscar), ne "Il Gigante" dicevo, il giovane James Dean si scontra con il vecchio Rock Hudson. Gioventù e vecchiume vanno intesi come mentalità cinematografica, intenzione autoriale e metodo recitativo. Jimmy Dean è stata una doccia fredda per il sistema attoriale. Sulla tracce di Marlon Brando, lo appaia poi lo supera, anche solo se in tre misere occasioni. L'impostazione classica di Hudson cozza con quella da metodo di Jimmy Dean. Le pose, gli sguardi, le smorfie, l'irriverenza del gesto, l'intuizione del gesto. Tutto porta da un'altra parte, in un'altra direzione, nuova, diversa, anche pericolosa, perchè non si sapeva cosa avrebbe creato, cosa avrebbe raccolto dopo la semina. E infatti oggi, a più di 50 anni dalla sua morte, siamo qui ancora a piangerlo, stimarlo, seguirlo ed imitarlo. Sto parlando di Jimmy Dean.
Il film poi, premio Oscar a Stevens per la regia di un'opera ambiziosa e ben confezionata, va ricordato pure per Carroll Baker e per Dennis Hopper, che lavorò pure in "Gioventù Bruciata". Abbiamo Elizabeth Taylor e Sal Mineo, non va dimenticato. Ma il Jett Rink di Jimmy Dean è un personaggio grandioso a cui fa eco l'ambiente selvaggio e l'astrazione della messa in scena. Ci appare all'inizio come uno degli ultimi pistoleri, diverso dai vaqueros sotto i quali lavora. L'atteggiamento irriverente, distante e solitario fanno innamorare di lui, ma ecco che pronta arriva la coda del Diavolo. Trova il petrolio, si imborghesisce, diventa l'emblema del consumo e del lusso, e perde il fascino che ci aveva lasciato rude, zozzo, affascinante e libero qualche scena prima nel bel mezzo del Texas. Non a caso la tragedia si consuma, diciamo proprio che deflagra, nel lussuono albergo di Jett Rink. A simboleggiare una torre di Babele di metà anni '50 concorrono anche i numerosi ospiti che vociano, parlano e muggiscono come una mandria (non a caso il vecchio caratterista Chill Wills li manda avanti imitando se stesso quando manda avanti le vacche). E' in tutta questa confusione, in tutta questa incertezza identitaria, tra tensioni razziste tipiche del souther drama e una palese guerra dei sessi che coinvolge padri, madri, figli e figlie, è in tutto questo che esplode tutta la pochezza dell'abbondanza. Jimmy Dean ne è l'emblema e il viatico allo stesso tempo. E' lui che rappresenta l'abbondanza, e ne è lo specchio deforme in cui Rock Hudson vede il proprio imbruttimento prima di cambiare. Un contraltare straordinario che dà al film un valore aggiunto che credo altrimentri non avrebbe avuto. Ma tutto il primo tempo, là in quella casa in mezzo al nulla, nel deserto e tra le vacche, è qualcosa di "gigantesco" ed indescrivibile, che appare al nostro cuore come la proiezione nuda del nostro "sè" ormaio perso nell'abbondanza.

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