Regia di Juan Antonio Bayona vedi scheda film
Poco prima di rispondere a una di quelle chiamate cui dire di no è praticamente impossibile, l’ormai prossimo Jurassic world 2 (estate 2018), lo spagnolo Juan Antonio Bayona si conferma con A monster calls come uno dei registi europei più internazionali, come già il precedente dramma d’azione The impossible aveva lasciato intendere.
Non solo, rispetto alla precedente esperienza citata pocanzi, il regista nato a Barcellona nel 1975 porta avanti una sfida d’autore che utilizza la matrice fantasy, di leva presso il pubblico (in Spagna ha incassato poco meno di trenta milioni di dollari), accerchiandola letteralmente da un dramma plurimo e profondo, tanto da renderla un complemento oggetto per coadiuvare un ragionamento che, principalmente, verte altrove.
A scuola, Conor (Lewis MacDougall) è vessato da un gruppetto di bulli, mentre a casa deve convivere con la grave malattia che affligge sua madre (Felicity Jones). Vivendo con l’incubo di doversi trasferire da sua nonna (Sigourney Weaver), senza una concreta possibilità di poter vivere stabilmente con il padre (Toby Kebbell), Conor comincia a incontrare, sempre sette minuti dopo la mezzanotte, un mostro con le sembianze di un albero, che si propone di raccontargli tre storie per poi aspettare da lui la quarta e conclusiva.
Mentre la situazione familiare del ragazzino precipita, si avvicina il momento della verità.
Come riportato con correttezza estrema dal manifesto, Sette minuti dopo mezzanotte non è la solita favola per bambini. Questa dichiarazione d’intenti è il cuore pulsante che manifesta l’inattesa serietà dell’operazione, un dramma condito dalla fantasia, troppo inquieto per i più piccini, più serio di quanto gli adolescenti desidererebbero per accorrere in massa in sala e nemmeno troppo rassicurante per gli adulti, che vedono la clessidra del tempo cumulare troppa sabbia sul fondo.
Proprio per questo motivo, diventa automaticamente degno d’interesse, nonostante sia soggetto a fin troppe sollecitazioni che impediscono alla bussola di prendere un orientamento da rispettare con costanza.
In ordine, il piccolo Conor deve fare i conti con la malattia della madre, e relativo alone di morte che diventa sempre più ingombrante, i bulli, gli unici a prestargli attenzione a scuola, una nonna con la quale il rapporto è tensivo, e un padre assente che non può garantirgli alcuna certezza per il futuro.
Al cospetto di queste condizioni gravose, l’innesto fantasy si scontra con un dramma cupo, facendo sì che nemmeno nei sogni sia possibile trovare un rifugio.
Così, al dramma di giornate prive di una qualsiasi forma di sorriso e speranza, seguono notti vissute nella fantasia, con il vento a scuotere gli alberi e i countdown per arrivare al fatidico orario, con tre storie narrate da una creatura misteriosa e per niente rassicurante. Da qui, ecco un altro passo in più, con tre racconti animati, innervati dalla malvagità e dai secondi fini, nei quali apparenza e realtà sono quanto mai distanti, parabole accompagnate da un sapiente utilizzo delle luci e, più in generale, dei colori, che evidenziano il necessario senza prendersi la briga di curare ogni singolo dettaglio.
Con questa estensione, si completa un contesto estremamente ricco ma a serio rischio coesione, che sceglie, con coraggio e abnegazione, di non regalare sogno alcuno, preferendo semplicemente inculcare la consapevolezza, cercando di tirare fuori le parole più difficili da pronunciare.
Un vanto eccelso per un film di difficile gestione e speziato da troppi aforismi già sentiti decine di volte, che Juan Antonio Bayona non abbellisce mai, allestendo un panorama dark - nella vita così come nell’inconscio - che si avvale di atmosfere lavorate e arricchite da movimenti, del vento o anche di singoli oggetti, e da effetti che regolano il necessario apparendo più dettagliati di quanto in realtà non siano.
Un’altra peculiarità che denota la feconda maturità dell’opera risiede nel cast. Il giovanissimo Lewis MacDougall regge uno dei ruoli più complicati interpretati da un bambino negli ultimi anni, Felicity Jones abbandona i panni dell’eroina avventurosa del recente Rogue one: A star wars story per assumere i connotati più debilitati di una malata sempre più vicina alla morte, Sigourney Weaver diventa la nonna più distante di sempre dal nipote (ma tutto si rilegge nella trama, in una figlia che è consapevole di perdere) e nella versione originale troviamo la voce di Liam Neeson nella parte del mostro, collegata, tramite dettagli resi opportunamente visibili, alla storia stessa.
Per tutte queste scelte, con intenzioni che prostrano il cinema commerciale, con i suoi investimenti, nutrendosi e soffrendo di tante forze contrastanti, Sette minuti dopo mezzanotte viaggia su una retta perfettamente parallela al cinema più abitudinario, senza incontrarlo mai, guardando oltre, a volte perdendo la mira, ma non per inezia, eliminando di netto le classiche fazioni che vedono buoni e cattivi fronteggiarsi, cercando con ardore lo spazio per esprimere un bisogno che costa caro dichiarare.
Un impasto impavido e imperfetto, che guarda anche alle sue (nostre) debolezze senza paura di sbagliare.
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