Regia di Juan Antonio Bayona vedi scheda film
Conor è un timido tredicenne, spesso oggetto di atti di bullismo da parte dei suoi compagni di scuole. Inoltre è orfano di padre, ha una madre giovane e bella ma afflitta da una grave malattia, ed una nonna scattante e giovanile, forse sin invadente ma premurosa, che cerca di supplire le assenze forzate della figlia, madre amorevole ma impegnata a curarsi.
Per vincere lo stress di tutta questa serie di difficoltà esistenziali, il ragazzo trova rifugio nella sua fantasia, che lo fa entrare, ogni notte allo scoccare del settimo minuto dopo la mezzanotte, all’interno di un suo incubo ricorrente. Ecco allora che il grande albero vicino alla radura antistante il suo giardino, prende vita trasformandosi in un mostro avvolto da spessa corteccia, che tuttavia si rivela un collaboratore formativo che contribuirà non poco ad alleviare le preoccupazioni e lo stress del ragazzino.
Da un libro di successo di Patrick Ness, il regista ispanico de The orphanage, Juan Antonio Bayona (suo pure l’adrenalinico, shoccante e realisticamente catastrofico The impossible) ormai da tempo a suo agio in territorio Usa, firma una favola gotica che riprende, come personaggi e loro età anagrafica, le atmosfere nere dell’esordio cult di cui sopra (forse anche un po’ sopravvalutato) che lo ha reso famoso a livello internazionale; di fatto non mancano le atmosfere suggestive, l’ambientazione ottimamente costruita che ricorda i mondi fantastici dell’infanzia spielberghiana.
Quello che, a mio giudizio, manca davvero, è l’emozione autentica, quella che ha reso per molti il romanzo un’opera indimenticabile e fonte di emozioni forti, che qui nel film latitano sempre.
E tutto ciò nonostante la valida presenza del tenero protagonista, reso con opportuna ma per nulla scontata partecipazione dal tenero ed esile Lewis MacDougall, attorno al quale convergono comprimari di lusso fra cui si apprezza in particolar modo la tenace moderna nonna Sigourney Weaver, la sfortunata madre sofferente terminale Felicity Jones, oltre che la sola voce potente di Liam Neeson, che fa parlare il mostro dell’albero.
Il film evita saggiamente, e, a quanto pare in coerenza con il libro omonimo, inutili sentimentalismi o sdolcinature e non fornisce nessun facile lieto fine ricattatorio; ma stupire o colpire al cuore proprio no, non ci riesce affatto, almeno per quanto mi riguarda.
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