Regia di Johannes Roberts vedi scheda film
Horror con risvolti drammatici, ispirato da più riusciti lavori (Pet sematary e Zeder) ma perso dietro una banale e irrisolta sceneggiatura. Ottime le location e validi gli interpreti, decisamente sprecati per un film che è inutilmente ripetitivo...
Michael Harwood (Jeremy Sisto) si trova, per lavoro, in India quando apprende che la sua compagna Maria (Sarah Wayne Callies) è incinta. La coppia decide di trasferirsi e vivere lì. Con il passare degli anni, durante un incidente automobilistico, Maria perde il piccolo Oliver (Logan Creran). Sconvolta e incapace di accettare il lutto segue il suggerimento della governante Piki (Suchitra Pillai): sparge le ceneri del figlio sugli scalini di un tempio abbandonato, al fine di stabilire -secondo una locale leggenda- un contatto ultraterrenno con Oliver. Senza dare ascolto ad un consiglio, apre la porta che separa il mondo dei vivi da quello dei morti. La piccola Lucy, sorellina di Oliver sopravvissuta all'incidente, è la prima a notare strane manifestazioni nella casa, che partono dalla stanza da letto del piccolo Oliver.
"Lei non ha idea di cosa ha fatto. Pensava di poter riportare qualcuno dal Mondo dei Morti e che nulla cambiasse? Pensava che non ci fossero conseguenze? Gli indù credono nella purificazione e reicarnazione dell'anima. Ciò non accadrà ad Oliver, perchè adesso è tornato in questa vita. La sua anima andrà in putrefazione. Lei l'ha vista vero? Si avvicina a questo mondo velocemente. Aprendo quella porta ha rotto l'equilibrio tra vita e morte... e l'ha svegliata. Lei è la guardiana dell'Oltretomba. È venuta per riportare Oliver nel mondo dei morti (...) Oliver non è più suo figlio, signora Harwood. Capisce ciò che le sto dicendo? Lui è malvagio. Bruci ogni cosa che lo riguardi. Distrugga ogni fotografia, getti ogni cosa che sia un'ancora per lui in questa vita... e preghi perchè torni nel Mondo dei Morti." (Piki / Suchitra Pillai)
Alexandre Aja produce un film dalle forti connotazioni emotive, prelevate però di peso (finale compreso) dal cult Cimitero vivente (opera letteraria di Stephen King già trasposta sullo schermo da Mary Lambert) e dal nostrano Zeder (frutto di un ispiratissimo Pupi Avati): il dolore per la perdita (nello specifico) di un bambino da parte di un genitore che non riesce (comprensibilmente) ad elaborarne il lutto e che cerca nell'incognita dell'altrove (religione, spiritismo, mito) un supporto all'inquantificabile dolore. Se da una parte (Pet sematary) la perdita (sempre causata da un incidente) può trovare momentanea risoluzione grazie a terreni speciali (già però K in Zeder), stavolta la panacea è data da un antico rito, da officiarsi con spargimento di ceneri, in un tempio ch'è anche porta dimensionale (L'aldilà, Inferno, Sentinel) e che nasconde il varco in grado di avvicinare le anime in pena dei vivi a quelle -non meno sofferenti- dei trapassati.
Detta così, questo The other side of the door sembrerebbe un bel film. E in parte -per interprerazioni, scenografie e messa in scena- lo è anche. In parte, solo in parte perchè poi predomina uno sgradito senso di déjà-vu, dovuto alla commistione di troppi elementi mal amalgamati: il già citato senso di perdita, tipico di decine di titoli a sfondo spiritico, e la più (relativamente) recente tendenza alla manifestazione di entità ultraterrene (giustamente parodiate nella saga Scary movie) tratteggiate con tendenza "orientale", alla The ring o The grudge. Una saturazione di elementi banali e scontati, ai quali non può porre rimedio la brava Sarah Wayne Callies (ottima protagonista della serie TV The walking dead). Ad aggravare ulteriormente sul poco esaltante esito del film, contribuisce l'ultimo terzo di girato, con la storia ormai partita per la tangente e persa dietro la classica sarabanda di effetti speciali, utili solo a nascondere il vuoto di contenuti.
Sorprende che il regista francese di Haute tension e -soprattutto- del remake Le colline hanno gli occhi sia rimasto coinvolto come produttore in questo pastrocchio, anche se buona parte del risultato ricade sulle spalle di Johannes Roberts, cineasta inglese che aveva già dato pessimi esempi siglando la direzione di svariati brutti (e dimenticati) horror, giunti in home video anche da noi: abominevoli (e inguardabili) film come Headhunters e Forest of the damned.
Pur avendo trovato la via della distribuzione nel circuito cinematografico, ad oggi il prodotto è rimasto inedito in Italia, anche se circola sui canali satellitari in una versione anamorfica (formato 2.35:1) e con audio dolby 5.1. La durata della versione visionata si ferma a 1h31m54s.
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