Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Eli ha trent'anni, quattro figli e un marito disoccupato; per tirare avanti fa la barista dall'altra parte di Roma e con turni massacranti. Lo stress si accumula e dentro di lei qualcosa è pronto a esplodere.
Diametralmente opposto ai Vanzina, in antitesi al cinema melodrammatico dei vari Ozpetek e Muccino, Daniele Vicari è uno dei rari cineasti italiani che in questi anni si occupa della realtà del Paese con toni crudi e veristi; con Sole cuore amore - titolo didascalicamente sarcastico - mette in scena la terribile non-vita di tante famiglie del cosiddetto Belpaese. Ma nella sceneggiatura, firmata dallo stesso regista, non mancano pecche logiche e cadute di stile che abbassano sensibilmente il livello della pellicola, sottraendole quella patina acida, quel retrogrusto amarognolo che ogni opera 'civile' deve fisiologicamente avere. La figura di Nicola, per esempio, che non sembra disporre di una personalità chiara e pare muoversi come una marionetta in funzione della discesa all'inferno psicofisica della protagonista; allo stesso modo Mario non sembra vivere una vita propria, ma entra in scena e ne esce solamente in relazione alle necessità narrative. Ma soprattutto non è per niente evidente il ruolo di primo piano assunto dal personaggio di Vale, eliminato il quale il film sarebbe esattamente identico. I dialoghi a ogni modo girano benissimo e la confezione è indubbiamente accurata; il contributo ministeriale in quanto opera di valore è del tutto meritato e lo dimostrano anche le buone prove degli interpreti: Isabella Ragonese, Francesco Montanari, Francesco Acquaroli, Eva Grieco sono i principali. Di Gherardo Gossi la bella fotografia. La strada che Vicari percorre è quella giusta e anche quando inciampa la sua marcia, pur rallentando, non cambia direzione: non poco, specie di questi tempi. 5/10.
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