Regia di Rebecca Zlotowski vedi scheda film
Planetarium ovvero: cinema & magia o magia del cinema? Un pastiche glamour piuttosto confuso e verboso, che tuttavia sa porsi un quesito stimolante, senza riuscirne purtroppo mai a fornirci alcuna risposta soddisfacente.
VENEZIA 73 - FUORI CONCORSO
Francia anni '30, a cavallo tra le due Guerre: due sorelle medium americane stanno riscuotendo successo in occasione di una tournèe che le vede impegnate in diverse tappe sul territorio europeo.
A Parigi le contatta un potente produttore cinematografico, che, guadagnatosi la stima e la fiducia di entrambe, le ospita nella sua splendida magione, chiedendo di essere sottoposto alla seduta con cui la più giovane è in grado di mettere in contatto l'individuo con lo spirito di una persona deceduta.
Le sedute, ripetute in diverse occasioni, procedono bene e l'uomo, visibilmente appagato e quasi sottomesso da una presenza spirituale potente che pare soggiogarlo in un gioco sessual masochistico di grande intesa e soddisfazione, si convince che tutto quello che egli prova merita di essere ripreso, filmato con nuove e più sofisticate tecniche cnematografiche, incitando gli altri suoi soci ad investire in questo genere di esperimenti in modo da far uscre il cinema francese da una crisi che lo aveva allontanato dai fasti di un cinema d'oltre oceano invece molto più pronto a produrre colossal e prodotti più apprezzati dal pubblico.
Nel contempo la sorella maggiore diviene un'attrice di successo a tempo pieno, mentre la più giovane intraprende col produttore una serie di esperimenti volti a riuscire a filmare l'intangibile, ovvero a riprendere la visione mistica degli spiriti evocati dalla ragazza: un esperimento di fatto fallimentare che getta in bancarotta l'uomo di cinema, costretto a dimettersi per evitare la galera.
Planetarium affronta la sfida ardua e dualistica di accostare il cinema al mistero del subconscio: cinema e magia o più semplicemente magia del cinema? Interrogativo stimolante e mai banale, che tuttavia il film, bizzarro e rutilante come una montagna russa che promette faville e poi tergiversa senza arrivare dritto al punto, finisce di perdersi tra location di lusso (le coste rosse dell'Esterel tra Cannes e Saint Raphael) e sedute spiritiche che non riescono a chiarirci nulla o molto meno di uìquanto vorremmo circa la natura od i segreti del potente uomo d'affari: chi è lo spirito dal quale pare dipendere, e che assume le sembianze quasi maschili di un essere corpulento e piuttosto dominante in grado di soggiogarlo in una sorta di torpore sadomaso?
L'altro coté del film ,quello del cinema in crisi che deve investire per rinnovarsi, ritìcorda per certi versi la crisi del conema muto con l'avvento del sonoro che portò alla fine della carriera le molte Norma Desmond di un cinema non poiù all'altezza dei tempi: quindi il cinema obsoleto, quello che rende star la sorella maggiore (Potman) contro il cinema sperimentale (quello per cui finisce di indebitarsi il produttore tramite la sua eletta medium giovane e dotata, ma dai poteri poco controllabili (Lily Rose Deep).
Temi, ispirazoni, flash ed appigli narrativi molto interessanti, che tuttavia la Zlotowski non pare riuscire a governare, mescolandoli uno con l'altro senza fornirci soluzioni, risposte, o conclusioni narrative degne di una storia compiuta.
Considerato che il film punta sul glamour di attori di grido di indubbio fascino, con la Portman e la Lily Rose Depp molto adtte ai rispettivi ruoli, un ulteriore appunto lo farei alla scenta dell'attore che interpreta il ruolo centrale del produttore cinematografico ossessionato dalle sedute spiristiche: Emmanule Salinger non ha, a mio giudizio, il pathos sufficiente a rendere diabolico al punto giusto il suo personaggio: mi domando cosa sarebbe successo ad avere al suo posto Udo Kier o Terence Stamp, per fare due tra i primi nomi che mi passano per la mente.
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