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Planetarium

Regia di Rebecca Zlotowski vedi scheda film

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La recensione su Planetarium

di maurizio73
5 stelle

Ricostruzione d'ambiente e riflessioni psicanalitiche sulle angosce fantasmatiche che agitano i sogni di celluloide della grandeur francese alla fine dei ruggenti anni '30, sono gli ingredienti del pastiche barocco e funereo di questo terzo lungometraggio dell'autrice franco polacca Rebecca Zlotowski.

Sorelle e sensitive in trasferta dal Nuovo Mondo, Laura e Kate Barlow passano da un fugace  tour europeo ad un ingaggio più prestigioso nelle produzioni cinematografiche francesi. Il loro mecenate, un eccentrico e tormentato magnate di origini polacche, sembra però avere altre mire. L'incombere dei regimi totalitari e gli oscuri presagi di una conflitto bellico faranno rapidamente precipitare gli eventi.

 

 

locandina

Planetarium (2016): locandina

 

Ricostruzione d'ambiente e riflessioni psicanalitiche sulle angosce fantasmatiche che agitano i sogni di celluloide della grandeur francese alla fine dei ruggenti anni '30, sono gli ingredienti del pastiche barocco e funereo di questo terzo lungometraggio dell'autrice franco polacca Rebecca Zlotowski. Il suo alter ego è un produttore cinematografico di origini ebraiche tormentato dagli incubi edipici della Grande Guerra, affascinato dalle innovazioni tecnologiche applicate al cinema, turbato dall'elegante erotismo che promana da due sorelline che comunicano col mondo dei morti e oppresso dal clima di crescente delegittimazione che le oscure nubi dell'antisemitismo avrebbero presto proiettato sul ricco e liberale ambiente parigino. Un'idea di cinema dalle ambizioni fuori portata che azzecca raramente il registro e qualche soluzione visiva, ma che per lo più si perde nei mille risvolti di una sceneggiatura frammentata che suggerisce senza sviluppare e che racconta senza emozionare, ambiguamente sospesa tra gli slanci di un inarrestabile progresso tecnologico e le mortifere ricadute delle sue applicazioni pratiche (mediche, parapsicologiche, belliche), nel continuo e irresoluto gioco di rimandi tra eros e thanatos di un triangolo amoroso tra una diva che vuole accasarsi, una ragazza in fiore destinata presto ad appassire ed un ricco mandrillo dal pedigree difettoso emigrato sulla sponda sbagliata dell'oceano Atlantico. Come nel precedente Grand Central, le passioni sono radiazioni che contaminano l'anima, non meno nocive di quelle radioattive che ammorbano il corpo, prefigurando le degenerazioni di un'epoca di esaltazioni e scoperte che preludono alle magnifiche sorti e progressive di un'umanità destinata però a precipitare presto nell'oscuro lustro dell'agone bellico; "...a volte per riuscire a vedere qualcosa è necessario spegnere la luce" , anche se il rischio è di precipitare nel profondo baratro delle nostre piu angosciose paure. Questo rimane del fugace sogno del cinema: un minuscolo lampo di speranza che illumina l'angusto orizzonte di un oblò aperto sulle infinite possibilità della vita. Emmanuel Salinger, con gli occhi spiritati alla Udo Kier, convince più della castigata sensualità di una Portman col pilota automatico e della opalina freschezza di una Lily-Rose Depp emaciata e smorta come gli spaventevoli spettri che crede di evocare. Presentato al Festival di Venezia 2016 e candidato ad un Cesar 2017 per le scenografie più belle, è stato un generale insuccesso di pubblico e critica, forse eccessivamente ingenerosi.

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