Regia di Nick Hamm vedi scheda film
Con The journey siamo nel filone della british comedy. anarchica, oltraggiosa, destabilizzante, quella che, almeno a partire da Shakespeare, non ha sbagliato un colpo.
“I due uomini da cui dipende completamente l’accordo di pace stanno vagando da soli in un cazzo di bosco! ”
Chi urla è Tony Blair fuori di sé, il self control che ha giustamente reso famosi i sudditi di Elisabetta sembra averlo del tutto abbandonato in una sequenza chiave, posta a pochi minuti dall’inizio del film.
Ma prima di lui è entrata in scena la Storia con la maiuscola. E’ la storia d’Irlanda.
Sui titoli di testa voci dal buio. Sono voci maschili e femminili, parlano della situazione e il tono è evidentemente angosciato.
Seguono didascalie e foto d’epoca, 40 anni di guerra, migliaia di morti.
Una foto, la prima, è quella magistralmente scelta da Nick Hamm, regista di Belfast, per aprire la serie.
Scatto frontale durante una cerimonia di sepoltura, in primo piano una ragazzina si copre la faccia con le mani. Zazzeretta bionda e vestito bianco anni ’60, è angelicamente disperata nel suo urlo muto, mentre sul fondo le fanno corona figure malinconicamente grigie di adulti col capo chino e rassegnato.
Seguono foto da reportage di guerra, quartieri bombardati, visioni consuete di fine millennio.
Quindi la buona notizia: nel 2006, in Scozia, i due leaders delle parti opposte si sono incontrati per discutere la pace.
Il reverendo Ian Paisley leader del Partito Unionista Democratico, protestante, e Martin McGuinnes del Sinn Féin, cattolico, trovarono la strada per il difficile accordo che, conditio sine qua non, prevedeva che i due storici nemici condividessero il potere.
Merito del trucco, ma non basterebbe se madre natura non avesse fatto la sua parte, Timothy Spall nella parte di Sir Ian Paisley e Colm Meaney che interpreta Martin McGuinness somigliano incredibilmente agli originali, trent’anni dopo, naturalmente.
Notizie e foto su vita e imprese dei due seguono in sintesi, ma sufficienti a rispolverare vecchi ricordi di furiose battaglie, strade di tranquille cittadine insanguinate, cecchini dietro l’angolo, mamme e bambini in fuga. Poco più di due minuti bastano al cinema per raccontare mezzo secolo di storia.
Quindi il “Viaggio” fino a St. Andrews in Scozia. Un severo castello, di quelli di cui la Scozia va giustamente fiera, aspetta i due uomini. Schieramento di forze in assetto anti sommossa e Tony Blair, nervosissimo, che si sta vestendo in albergo mentre Harry Patterson dell’Ml5, diplomatico al lavoro sulle trattative di pace dal 1972, gli fa compagnia con frasi del genere: “Allora, come sta? Sente il peso della storia sulle sue spalle?”.
E’ evidente a questo punto la brusca virata verso la british comedy.
Anarchica, oltraggiosa, destabilizzante, almeno a partire da Shakespeare non ha sbagliato un colpo e la scelta di Nick Hamm è quella giusta: l’abitacolo di una macchina con due pezzi storici che si odiano costretti dalle circostanze a viaggiare insieme, un falso autista che fa parte dei servizi segreti e deve spiarli, un bosco magnifico come solo da quelle parti possono essere magnifici i boschi e un incidente di percorso che, prolungandolo, mette a pieno titolo quel viaggio nell’elenco dei viaggi memorabili.
Da Marco Polo a Cristoforo Colombo, da Pisèteroed Evèlpide in volo verso la città degli uccelli ad Astolfo in viaggio verso la Luna, tra storia e fantasia, verità e allegoria, il viaggio sembra la ricetta migliore per il bene dell’umanità (con buona pace dei costruttori di muri, reali o metaforici).
Siamo nati nomadi, millenni di spostamenti lungo la crosta terrestre sono il nostro passato, oggi viviamo due terzi del nostro tempo dentro scatole di metallo proiettate a cento km/ora su lisce autostrade, ma siamo sempre uomini della caverna e della fionda.
Giusto, quindi, che sia l’abitacolo di un’auto, per quanto ampio e lussuoso, a fare da set ad uno scontro che, volenti o no, dovrà diventare un incontro.
Ian e Martin si odiano, dei due non si sa chi scegliere quanto ad antipatia, forse Ian, l’altro è più pacioccone, sa sorridere, Ian è una maschera di insofferenza, spigoloso, intrattabile almeno quanto l’altro è sarcastico.
Li osserviamo in vitro, due campioni di laboratorio per indagini su comportamenti umani in condizioni estreme, con l’aggravante che nelle loro mani c’è il destino di un popolo.
L’accordo ci sarà, la guerra civile potrà finire e il film, Fuori Concorso a Venezia73, riuscirà a dircelo con serena distanza, distendendo abilmente sui fatti un velo di leggerezza che racconta con humor tutto british senza nascondere nulla della realtà, .
Resta, amara, la riflessione sul tema dell’assurdo, inspiegabile eppure tragicamente sempre attuale manifestarsi di una conflittualità connaturata alla condizione umana, sui campi, nel cielo, o dentro una macchina in corsa verso l’ aeroporto e in panne nel bosco.
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo…
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