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Il giovane Karl Marx

Regia di Raoul Peck vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il giovane Karl Marx

di alan smithee
6 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

1844: a quasi cinquant’anni dalla Rivoluzione Francese, l’economia europea di metà ‘800 ha subito una trasformazione radicale ed epocale, passando la produttività dalla prevalenza della coltura dei campi e dello sviluppo del piccolo artigianato, ad un progresso senza sosta dei processi tecnologici che, dall’invenzione della macchina a vapore, della rete ferroviaria, e della siderurgia, hanno completamente sconvolto non solo l’economia del Vecchio Continente, ma anche sradicato certe imperturbabili scale gerarchiche sociali, con l’avvento, tra l’aristocrazia ed il popolo, della cosiddetta “borghesia”. Fautrice quest’ultima del progresso economico produttivo, ma anche responsabile dello sfruttamento delle masse popolari, della plebe, trasferitasi dalle campagne alla città con l’illusione di più facili guadagni, ed invece sottoposta a turni massacranti, oltre che esposta all’azione nociva di ambienti malsani se non tossici, al cui confronto il più rigido ed inclemente dei climi, parrebbe un conforto.

In quel contesto, il film del cineasta haitiano impegnato e noto e premiato documentarista (suo il noto “I am not your negro”, vincitore di un Oscar nel 2017 come miglior documentario) Raoul Peck, segue i primi passi del giovane 26enne Karl Marx, filosofo e giornalista che, vittima della censura tedesca, irreprensibile a dispetto delle proprie posizioni estreme e dirette a battersi contro lo sfruttamento indiscriminato della forza lavoro, dei minori e  delle donne, è costretto a trasferirsi a Parigi. Qui incontra un altro noto teorizzatore delle nuove teorie a salvaguardia del popolo, un quasi coetaneo Friedrich Engels, di origini alto borghesi ma volto alla salvaguardia dei suoi dipendenti sfruttati.

Scalzati gli esponenti debosciati e corrotti del movimento operaio, conniventi con la parte più forte, e scalata la soglia del comando, i due giovani danno vita ad un movimento che troverà il modo di rivendicare decenni di sfruttamenti a danno della comunità indifesa e soverchiata da una ebbrezza di uno sviluppo economico dimostrato ed esaltato da molti economisti, rapiti dal miracolo della produttività ma completamente indifferenti di fronte al particolare dell’impatto devastante di questo processo sulla classe operaia. Un’epoca di lotte febbrili e di notti insonni trascorse a redigere e creare i capisaldi della nuova teoria rivoluzionaria: Il Manifesto del Partito Comunista, del 1848, ed in seguito Il Capitale, testo chiave del marxismo, opera complessa e suddivisa in libri, alcuni dei quali pubblicati postumi.

Il film di Peck ne ripercorre - con pregevole dinamismo ed un valida (ma non proprio originale) scenografia incentrata sulla descrizione degli ambienti operai – le principali tappe di una avventura che contribuì più di ogni altra a far cambiare il volto ad una Europa già stravolta da un progresso tentacolare e stordente, disumanizzato e improntato solo verso le ragioni del profitto, aprendo le porte alla lotta di classe e alla rivendicazione, orgogliosa e tenace, dei propri sacrosanti diritti, ed introducendo concetti rivoluzionari come quello della “forza lavoro”, della “coscienza di classe”, della “fratellanza del ceto operaio”.

Un biopic corretto e solido, che tuttavia non ha la forza stilistica prorompente per discostarsi dalla scia dei molti validi prodotti un po’ routinari improntati a celebrare nomi illustri del nostro passato.

Tra gli attori, il protagonista August Diehl ha un buon carisma e possiede un valido “physique du role” per impossessarsi degli impegnativi tratti del suo carismatico protagonista.

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