Regia di James DeMonaco vedi scheda film
DeMonaco non molla le redini del progetto The Purge, che mantiene smalto, nonostante qualche ingenuità di situazioni e dialoghi, nonostante troppi buoni e cattivi risultino a volte afflitti da schematismo comportamentale, e si dimostra, arricchito del contesto elettorale, probabilmente come il capitolo migliore e più storicamente connotato.
La trilogia “The Purge” giunge a compimento col suo terzo puntuale tassello (ma nulla ci assicura che si tratti veramente dell’ultimo episodio) nel suo momento più opportuno: sfruttando cioè, intelligentemente e scaltramente, la circostanza delle imminenti elezioni americane, nonché lo spettro della minaccia rappresentata dall’elezione di uno dei due candidati dal modo di agire riottoso e qualunquista, integralista e scaltramente di facile presa (l’attuale candidato biondo color polenta e miliardario, per intenderci), nonché la caratteristica che l’altro candidato è, per la prima volta, una donna.
Attualizzando e aggiungendo in tal modo pepe, e dunque sapore, alla già concitata, lugubre, allarmante vicenda e circostanza che tutti ben conosciamo, se abbiamo seguito i due piuttosto validi primi capitoli.
I cosiddetti “Padri Fondatori” del nuovo ordinamento Usa, hanno da oltre un ventennio stabilito una data annua in cui ogni cittadino può deliberatamente dar sfogo a tutte le sue furie senza rischio di essere condannato o accusato di alcunché.
La circostanza ufficialmente ha lo scopo di calmierare il crimine comune lungo tutto l’anno, lasciando spazio e libertà d’azione ai cittadini lungo tutta una notte di agire per placare i propri sentimenti di vendetta o rabbia; di fatto una tenace giovane senatrice, unica sopravvissuta della propria famiglia ad un massacro perpetrato proprio quella fatidica notte di 18 anni prima, si batte da tempo affinché la popolazione insorga chiedendo l’abolizione di quell’abominio, e cercando con tutta se stessa di far affiorare agli organi di stampa le prove schiaccianti che testimoniamo come quel rito tribale altro non è che una misura di contenimento della popolazione fatta a misura di casta privilegiata e ricca, ai danni del popolo dei più poveri, che non ha soldi, basi e strutture per proteggersi da attacchi efferati e quasi sempre ingiustificati di chi utilizza questa crudele ricorrenza come un lasciapassare per dare sfogo ad istinti assassini più viscerali e malati.
Sembrerà eccessiva tutta questa costruzione od impalcatura audace e da incubo in cui si poggia tutta la serie, ma il film ha almeno il pregio di riuscire a rappresentare, al pari dei suoi precedenti, una società dominante vampira e senza limiti che apparirà pure a tratti caricaturale, spettrale, da loggia massonica assassina e satanica molto sopra le righe, ma che non si discosta molto, almeno a grandi linee, dal ritratto più realistico e meno caricaturale dei reali vertici assetati di potere e ricchezza che presiedono multinazionali e istituti finanziari del mondo circostante odierno: ovvero di quei pochi spaventosamente ricchi e sempre più avidi di accumulare risorse, che piegano, oggi ancor più maliziosamente di quanto già fece e fa molta parte della classe politica nel nostro paese, una massa sempre più ampia di popolazione, sempre inesorabilmente più vicina al limite minimo di sussistenza, e dunque debole ed indifesa, di fatto in posizione sacrificale.
In più il film offre la tensione fornita dallo spettro di una elezione prossima ventura che potrebbe, se fossimo davvero in una democrazia pulita, determinare la fine del regime dei Padri Fondatori, ma che in realtà è minacciata da una lobby potente e per nulla disposta a restituire il comando al popolo, come in ogni democrazia che si rispetti.
Inevitabile dunque, non pensare, almeno a grandi linee, alla situazione attuale di un’America che rischia sempre più seriamente di finire tra le mani di un “tycoon” vaneggiante e tronfio, ideale progettista di muri invalicabili, frontiere e altri pesanti vincoli come propaganda politica per cavalcare un malcontento che ha le sue fondate e ragionevoli motivazioni in sottofondo.
Così come la giovane senatrice bionda e di buoni sentimenti, candidata del popolo, osteggiata in tutti i modi e minacciata di morte, non può richiamare in qualche modo, anche solo per il fatto di essere femmina (e bionda), il primo candidato presidente donna, attualmente impegnato a superare l’ahimé favorito capitalista repubblicano coi capelli color polenta.
James DeMonaco non molla nemmeno questa volta le redini del progetto che mantiene smalto, nonostante qualche ingenuità di situazioni e dialoghi, nonostante troppi buoni e cattivi risultino a volte un po’ grotteschi nella loro reciproco disarmante schematismo comportamentale, e si dimostra, arricchito del contesto elettorale, probabilmente come il capitolo migliore e più storicamente connotato del terzetto.
Ottimo almeno come in precedenza Frank Gallo, che in questo contesto molto carpenteriano da Distretto 13, appare come uno Jena Plissken più macilento e aggiornato alle desolanti prospettive urbane odierne, quelle stesse che ci negano il fascino di una civiltà magari ugualmente compromessa, ma coi tratti futuristici che la rendono in qualche modo più altisonante e scenografica.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta