Regia di Haifaa Al-Mansour vedi scheda film
Torino Film Festival 35 – Festa Mobile.
«C’è qualcosa che consuma la mia anima e che non comprendo».
Cosa si nasconde dietro la genesi di un capolavoro, ad esempio un’opera prima di natura letteraria? Sicuramente si tratta di un mix di fattori che tratteggiano l’artista, tra il talento genetico, la formazione culturale e la fortuna di arrivare nel momento opportuno incrociando le persone giuste, con l’esperienza del vissuto a ricoprire sempre un ruolo, centrale o meno che sia.
Con Mary Shelley, Haifaa Al-Mansour ripercorre il lasso temporale della vita della popolare scrittrice londinese precedente la pubblicazione di Frankenstein, argomentando - non senza affanni e modalità stucchevoli – il tormento che ha guidato la giovane autrice a inventare una storia passata alla leggenda, anche cinematografica (Frankenstein di James Whale).
Mary Godwin Wollstonecraft (Elle Fanning) è una sedicenne vitale e desiderosa di libertà, che trascorre le sue giornate insieme alla sorellastra Claire Clermont (Bel Powley) nella libreria del padre (Stephen Dillane).
Quando conosce l’affascinante e spregiudicato Percy Shelley (Douglas Booth), s’innamora perdutamente e decide di scappare con lui, intraprendendo una nuova strada. Purtroppo per lei, la felicità tanto agognata lascerà più volte spazio a note dolorose, con un lungo periodo trascorso nella residenza di Lord Byron (Tom Sturridge), un lutto devastante e un rapporto con Percy che non le risparmia nulla.
La bambina de La bicicletta verde è cresciuta, mantenendo uno spirito indipendente pur traslando in un’epoca e in un luogo quanto mai divergenti, storicamente e culturalmente.
Ciò succede nel primo film americano di Haifaa Al-Mansour, per giunta un biopic, un terreno sul quale i movimenti sono razionati e la sintesi è un dovere condizionante. Dal suo esordio porta con sé il manifesto femminista, continuando a seguire un percorso coerente, con una sceneggiatura scritta da lei stessa insieme a Emma Jensen che, come contrappasso, perde il candore di quella fanciullezza ancora lontana dalle grandi scelte.
Il risultato è altamente disomogeneo. L’ingresso è chiarificatore del personaggio gettando le basi per comprenderlo, ma tutto il lungo corpo centrale rischia ripetutamente di ingolfarsi, seguitando continui alti e bassi, frutto di eventi che rimbalzano senza sosta tra la gioia più inebriante e una frustrazione che toglie le forze, in un’esecuzione compilativa che tende a sbriciolarsi e appassionare solo parzialmente.
Un’esposizione che con un romanticismo espresso in versi e poco tempo per far decantare la materia, sembra voler sedurre principalmente il pubblico teen, ovviamente di sponda femminile, la cui sensibilità è sollecitata.
Se non altro, questa sarabanda a tratti sfiancante, propone l’amore e le perdite, le fughe e gli abbandoni che hanno scatenato la tempestosa furia creativa di Mary, riuscendo ad attuare la diretta correlazione insita tra un’opera e il suo autore, quel legame profondo che solo a pronunciarlo toglie l’aria da respirare, tanto più se pensiamo proprio al testo in oggetto, con la ricerca disperata di un’accoglienza sempre negata.
Inoltre, Elle Fanning continua a essere un fattore determinante: quando l’immagine si ferma su di lei giusto per un paio di secondi in più del necessario, il suo sguardo è talmente intenso da non essere sostenibile (peccato che i frangenti nei quali ciò possa tornare realmente utile non sono molti), mentre il resto del cast propone una vivace Bel Powley e Douglas Booth, che con gli albori del diciannovesimo secolo non ha molto da condividere (si torna al punto sopra riguardo una visione teen).
In conclusione, se è vero che «le opere coraggiose hanno più chance di sopravvivere al tempo», Mary Shelley è dichiaratamente fuori dai giochi ma, per sua fortuna, ha l’unica attrice sotto i vent’anni – Elle Fanning – che può animare una scena traballante, mostra senza veli i meccanismi instaurati tra autore e la sua opera oltre a quanto possa essere disagevole convivere con le proprie scelte quando si sceglie di non cantare nel solito coro.
Più conformista di quanto (forse) vorrebbe essere, palesando alcune debolezze endemiche da biopic, ma anche coinvolgente quando migra dalle avventure/sventure sentimentali alla passione per la letteratura, interpolando un poderoso processo creativo.
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