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Final Portrait - L'arte di essere amici

Regia di Stanley Tucci vedi scheda film

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La recensione su Final Portrait - L'arte di essere amici

di Furetto60
6 stelle

Discreto film di Tucci. Racconta uno scorcio della vita dell'artista Alberto Giacometti.

"Final Portrait - L'Arte di essere Amici", del regista Stanley Tucci, non è un biopic sulla biografia di Alberto Giacometti, geniale, sregolato scultore e pittore, svizzero, vissuto a Parigi. Il film racconta solo un brevissimo periodo della vita dell'artista, quando nel 1964 incontrò l’amico scrittore James Lord, che frequentava abitualmente l'ambiente ”artistico" e mondano della capitale, come cronista e critico e che conosceva Giacometti dal 1952. Costui  ebbe la scellerata idea di farsi fare il suo ritratto. La lavorazione avrebbe dovuto richiedere qualche ora, ma si tradusse di fatto,in un soggiorno forzato di 18 giorni e di interminabili sedute, interrotte dai motivi più disparati, alla fine dei quali,l’opera paradossalmente non fu mai completata. Giacometti si rivelò essere un grande creativo, un artigiano maniacale e paranoico, lucido, ma maledettamente inaffidabile.Di contro viene messa in evidenza l'eleganza ordinata di Lord , yankee composto ed educato. Tuttavia tra i due malgrado e anzi forse proprio in ragione delle loro grandi differenze, si stabilì un rapporto di profonda intensità e complicità. Goffrey Rush, con la sua versatilità, presta il volto a Giacometti, in un ritratto molto verosimile, anche per la somiglianza fisica.L’artista,malgrado la fama raggiunta e la ricchezza acquisita, trascorreva le sue giornate in un appartamento laido e fatiscente, in compagnia della moglie,del fratello e a volte anche dell’amante, una prostituta di nome Caroline,che posava per lui e lo teneva in pugno,ammaliato dalle sue grazie, arriverà a trattare il prezzo delle sue “performance artistiche” con i suoi magnaccia.Alberto era un talentuoso, che aveva però un approccio singolare con l'arte, che giudicava,in continuo mutamento, una persona che,passando schizofrenicamente, da un matrimonio piatto, a un rapporto malsano con una meretrice, non rinunciava mai a continuare a fare esattamente quello che voleva,sempre. Se non sentiva ispirazione sulla tela, passava alle sculture o andava nei bar a bere vino, senza mai però snaturare la sua indole “bohemien”, disordinata, sciatta, a tratti nevrotica e borderline ,ma autentica. Grazie alla particolare tecnica, con una macchina da presa oscillante,la regia indugiando sui primi piani, ci regala dei ritratti espressivi,passando dal viso regolare di Lord a quello, solcato di rughe e angustiato di Giacometti, perennemente attaccato al mozzicone di una sigaretta, crucciato e angosciato, costantemente preda di una febbrile ricerca di precisione, consapevole di non potere concludere un'opera, che ritiene incompiuta e bisognosa di ritocchi. E infatti, dopo tante giornate e vari rinvii, continuerà a passare sulla tela una pennellata bianca e ricominciare tutto da capo,ogni giorno,in una interminabile coazione a ripetere. Da artista a tutto tondo, non poteva accontentarsi,ma non poteva neanche raggiungere l’impossibile perfezione. Alla base del soggetto il diario di James Lord, "A Giacometti Portrait", in cui lo scrittore americano descrisse quei 18 giorni trascorsi con Giacometti,nel suo atelier parigino.Il taglio di questo film ha i tempi, le forme, l’ambientazione, di stampo teatrale. La scena si svolge principalmente nello studio dell'artista. Il film è nel complesso riuscito, anche se a mio parere ci sono molti tempi morti e alcuni momenti ridondanti.

 

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