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Final Portrait - L'arte di essere amici

Regia di Stanley Tucci vedi scheda film

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La recensione su Final Portrait - L'arte di essere amici

di obyone
6 stelle

Geoffrey Rush

Final Portrait - L'arte di essere amici (2017): Geoffrey Rush

 

Stanley Tucci, attore e regista americano, conosciuto per i suoi film come per il suo amore per l'arte, ha adattato per lo schermo l'esperienza dello scrittore americano James Lord che nel 1964 posò per un ritratto nel laboratorio parigino dell'artista svizzero Alberto Giacometti. Lord fu talmente colpito da quella collaborazione, che si protrasse per diversi giorni, da scriverne un diario, pubblicato nel '65 con il titolo "A Giacometti Portrait", nel quale mise su carta le emozioni legate al ricordo, e le immagini del ritratto in corso d'opera che lui stesso scattò. Quella di Lord è un'opera intima e cerebrale, difficile da tradurre in immagini vista la quasi totale mancanza di fatti degni di nota, tant'è che lo stesso Tucci si sofferma ripetutamente sugli stessi gesti che scandiscono le giornate nell'atelier: l'arrivo dello scrittore, la meticolosa preparazione della posa, lo scatto delle fotografie a fine giornata. A pensarci bene è difficile che possa accadere dell'altro durante un laboratorio di pittura, benché Giacometti non fosse certo regolare e maniacale nel rispetto di tempi e modi dell'agire, piuttosto, capace di mollar lì un lavoro dopo poche pennellate per concentrarsi su una scultura, o per "ridisegnare" le forme della propria amante. Tucci, dunque, non ha avuto scelta che rimpolpare lo script con altri personaggi e raccontarne emozioni e vicende legate ai due protagonisti. Senza questi innesti non si sarebbe arrivati ai 3/4 d'ora di film. Così Giacometti e Lord si trovano a condividere la scena con Annette (Sylvie Testud), moglie dell'artista spesso trascurata ed infelice, Caroline (Clémence Poésy) giovane e viziatissima prostituta dalla quale l'artista dipende sentimentalmente, e Diego Giacometti (Tony Shalhoub), unica persona che sembra dare un po' di stabilità all'eccentrico fratello. Bravissimi gli attori a cominciare da Geoffrey Rush che interpreta il pittore in pieno controllo e senza tante gigionate, benché l'atteggiamento stravagante dell'artista lasciasse ampio spazio ad una caricatura eccessiva. Ottima anche la Testud, svilita dagli stracci che indossa, corpo segaligno e indolente, temperamento indomabile e pratico.

Il film eccelle nelle creazioni degli scenografi James Merifield e David Hindle che riproducono gli spazi ammantati di polvere e rifiuti dell'arte, mentre il direttore della fotografia Danny Cohen esegue un lavoro certosino di desaturazione dei colori che assumono le tonalità dei pigmenti utilizzati nei dipinti coevi dell'artista (i grigi, i neri, i gialli). Il resto lo fa Tucci con interessanti particolari sulle mani al lavoro, e dettagli sugli strumenti in movimento, i cui repentini spostamenti sulla tela sono simulati dall'uso scattoso della camera a mano; mentre la noia, l'impazienza e l'incertezza di Lord sono restituite del cameraman con l'uso frequente del primissimo piano. Se dal punto di vista tecnico il film è notevole (nonostante un budget modesto) dal punto di vista narrativo risente dei limiti poc'anzi descritti. Parere mio è che di arte se ne discuta poco. La mia idea è che il regista, figlio di un insegnante d'arte, sappia bene quanto quest'ultima sia impervia e difficile da trasmettere ai non addetti ai lavori, specie se contemporanea, ed abbia perciò optato per ridurre al minimo complicate e filosofiche discussioni sull'ars gratia artis soffermandosi su una più prosaica descrizione del processo produttivo e sull'analisi basilare dell'orientamento filosofico dell'opera giacomettiana ovvero l'impossibilità di considerare un'opera finita. Giacometti avrebbe potuto ridisegnare lo stesso soggetto o lavorare la stessa creta all'infinito come una Penelope indefessa in trepidante attesa di una perfezione che non arriva, al pari del suo Ulisse. Così succedeva che solo elementi esterni al volere dell'artista sancissero la fine di un lavoro come la partenza più volte rimandata del modello James Lord (Armie Hammer) od una scadenza improrogabile. In un certo senso anche il film di Stanley Tucci ha subito la medesima sorte dei lavori di Giacometti perché una volta iniziati i titoli di coda mi sono sentito addosso la strana sensazione di un'opera sospesa ed incompleta, o la cui compiutezza fosse sancita esclusivamente da un evento indipendente dall'autore come l'accensione delle luci in teatro. Una sensazione che ancora non riesco a comprendere appieno.

 

Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara

 

Armie Hammer

Final Portrait - L'arte di essere amici (2017): Armie Hammer

Geoffrey Rush, Clémence Poésy

Final Portrait - L'arte di essere amici (2017): Geoffrey Rush, Clémence Poésy

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