Regia di Juan Carlos Medina vedi scheda film
«Colui che osserva non versa meno sangue di colui che infligge il colpo».
Quando si ha una convinzione ferrea, non è ammissibile starsene in disparte ad attendere il corso degli eventi. Purtroppo, anche l’interventismo consapevole non è garanzia di giustizia. Infatti, la verità contempla svariate sfumature e anche le menti più acute rischiano di essere circuite, non riuscendo a formulare una visione d’insieme, ipnotizzate da un’illusione che vorrebbero vedere concretizzarsi.
The Limehouse Golem è un thriller avvolto dal mistero, ambientato a Londra ma con parametri tipici del recente cinema spagnolo, da cui pesca qualità ma anche una smania che sulla lunga distanza ingloba alcune controindicazioni.
Londra, 1880. Il quartiere di Limehouse è sconvolto da una serie di omicidi, talmente efferati e inspiegabili da indurre la stampa ad attribuirli a un Golem, una creatura mostruosa estrapolata dalla mitologia ebraica.
Il compito di fare chiarezza sui fatti è affidato al navigato ispettore John Kildare (Bill Nighy), che contemporaneamente cercherà di salvare Lizzie Cree (Olivia Cooke) da una condanna a morte altrimenti certa. Per l’investigatore, l’uomo ucciso dalla ragazza potrebbe essere l’autore della scia di sangue che ha gettato nel panico il quartiere.
Dopo aver girato in Spagna Painless, Juan Carlos Medina vola in Gran Bretagna per dirigere un film debitore di La vera storia di Jack lo squartatore - From hell e con peculiarità accostabili al cinema spagnolo, per intenderci da The orphanage in giù fino a Marrowbone.
La portata offerta è abbondante, principalmente costituita da materiale d’immediata riconoscibilità, con eventi sinistri e tenebrosi, un drappello di esecuzioni macabre e devianze psichiche, alcune esposte, altre da smascherare.
La principale qualità risiede nell’inquadramento generale, spaziante tra spettacoli di varietà e un processo, con un’indagine intervallata da flashback sparpagliati. Nel complesso, fuoriesce la sete di sangue del popolo, che vuole osservare da vicino il degrado e attende la gogna, con una donna soggiogata dalla società degli uomini, che pretendono, sfruttano, giudicano e infine condannano senza appello.
Uno sfondo impietoso, condito da sofferenze e crudeltà, per una mistura orientata più sul fare che sull’essere, tanto appariscente quanto intermittente, con punte eccedenti. Quest’ultime sono macroscopiche soprattutto sull’arrivo in volata, che non stupisce neppure con una virata a 180° e la successiva rivisitazione a posteriori.
Questa marcia disomogenea è contraddistinta da due cuori pulsanti – John Kildare e Lizzie Cree - che si tolgono luce a vicenda. Rimane comunque eccellente l’interpretazione di Bill Nighy, che avrebbe meritato ancora più spazio e rilevanza, mentre Olivia Cooke funziona egregiamente solo fino a quando domina la sua straordinaria dolcezza affranta.
Volendo fare i contabili, The Limehouse Golem richiede un calcolo pieno di addizioni e sottrazioni, con una spaziatura talmente fitta da risultare soffocante, un’esposizione dall’attecchimento istantaneo e demarcata da un esibizionismo premeditato, che sfocia nella maniera.
Avvincente ed eccessivamente caotico, con una rivelazione (portante) facilmente intuibile.
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