Regia di Luc Besson vedi scheda film
Luc Besson è uno di quei registi che non si fatica ad associare alle immagini dei propri film. Se, dunque, la riconoscibilità è da sempre elemento discriminante per distinguere gli autore dai semplice mestieranti, non possono esserci dubbi sul fatto che Besson appartenga di diritto alla schiera più nobile della settima arte. Ciononostante, nell’economia dei giudizi espressi sul conto del francese pesano le accuse che ne stigmatizzano l’infantilità dei lavori e la troppo importanza assegnata al dettaglio formale. Un ragionamento non del tutto sbagliato, se non fosse che il profilo di un film come “Valerian e la città dei mille pianeti” non è solo la maniera scelta dal regista per assicurarsi le attenzioni del pubblico ma diventa uno degli strumenti utilizzati per esprimere l’essenza della storia. Dunque, a ben guardare, il tripudio di colori utilizzato per rivestire l’universo fantastico che fa da sfondo alle avventure di Valerian e Laureline, agenti speciali che attraversano la galassia per assicurare la pace tra le diverse razze, così come la fantasia divertita e divertente del paesaggio - umano e geografico - con cui i due si confrontano, sembrano l’estensione di un’innocenza contagiosa e ludica che appartiene tanto alla coppia protagonista, quanto ai personaggi che incrociano la loro strada: e quindi, tanto ai Pearl, costretti alla diaspora per colpe altrui (le analogie con la Shoah sono evidenti) quanto alla melanconica Bubble, muta forme - interpretata da Rihanna - che anela a un’identità negatagli dalle caratteristiche del suo straordinario potere, come pure al simpatico Mul, l’animaletto che tutti si contendono per la capacità di moltiplicare ciò che ingerisce.
Rifacendosi alla poetica del regista, “Valerian e la città dei mille pianeti” ci porta all’interno di un universo in cui la consapevolezza è solo al femminile e dove la superiorità della cosiddetta controparte, per quanto stabilita da ruoli e gerarchie, è, in realtà, - e, come spesso accade nei film di Besson - subordinata alle caratteristiche di rapporti uomo donna in cui, a fare da collante non è l’attrazione fisica, bensì la manifestazione di amori talmente casti da rasentare quelli esistenti tra madre e figlio. Non è quindi un caso che in “Valerian e la città dei mille pianeti” la sessualità sia tutt’altro che definita (fatichiamo a distinguere quella dei Pearl) e che, per esempio, Valerian (Dane Dehaan) abbia le fattezze di un adolescente alle prime armi; e, ancora, che le astronavi, gli ambienti e certi strumenti d’offesa (vedasi il bozzolo gelatinoso che a un certo punto imprigiona i nostri) rimandino, nelle loro funzioni primarie, a una sorta di limbo che potrebbe essere quello sperimentato nell’utero materno. Per non parlare dell’azione stessa del regista, il quale, come una madre sul punto di partorire, utilizza le sequenze come vettori chiamati ogni volta a dare alla luce nuovi mondi da affiancare o sovrapporre quelli già esistenti. Sarà per questo motivo che in “Valerian” prevalga nei confronti dei cattivi un sentimento di sostanziale comprensione dei loro misfatti e, più in generale, - attraverso la mancata vendetta dei Pearl nei confronti del loro persecutore - l’astensione da un giudizio definitivo sulle loro colpe. Tratto dal lavoro più importante del fumettista francese Jean Claude Mezieres il film di Besson ha come unica pecca quella di essere un piacere per gli occhi e un po' meno per il cuore. Poco male perché “Valerian e la città dei mille pianeti” rimane comunque uno spettacolo imperdibile.
(icinemaniaci.blogspot.it)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta