Regia di Mel Gibson vedi scheda film
Pochi registi posseggono il furore di Mel Gibson . Il cinema vissuto come gesto catartico, consumato attraverso un idea da fruire soltanto in maniera radicale , da difendere per affermare la propria identità.
Una decina d'anni dopo la sua ultima straordinaria regia (Apocalypto), l'attore/regista torna in campo per raccontarci la storia realmente accaduta di Desmon Doss(Andrew Garfield), primo obiettore di coscienza che salvò 75 uomini durante la battaglia di Hokinawa, e si guadagnó la medaglia al valore.
Il film soffre di un disequilibrio evidente tra la prima parte, un po' bollita, melensa, che narra l'infanzia di Doss e l'amore per Dorothy , divenuta poi sua moglie, e la seconda che si concentra sull'impresa epica vera e propria del soldato obiettore, molto più avvincente.
Poco importa che vi siano fiumi di retorica , ( il regista non fa nulla per sottrarvisi) e che Gibson attinga a piene mani da altri film di guerra di Spielberghiana o Kubrickiana memoria, quel che conta è che il messaggio arriva diretto: il problema della guerra non è militare, ma etico. Si combatte in primis per difendere i propri ideali, ciò in cui si crede, con o senza fucile.
Fango e sangue, arti mozzati e viscere alla mercé dello sguardo, Gibson inscena il suo personale inferno sulla terra attraverso una battaglia cruenta e crudele, montata al fulmicotone da John Gilbert (premiato con l'Oscar); uno sciame di guerriglieri giapponesi (a cui concede gli onori della sconfitta con la scena dell'harakiri) sprovvisti dell'arma più forte , la fede. Sembra un paradosso parlare di fede religiosa in guerra, ed in effetti lo è; l'estremismo di Gibson va preso con le pinze, ma con tutte le contraddizioni del caso, ha il coraggio di andare fino in fondo.
"Odio la guerra, ma amo i guerrieri" - M. Gibson-
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