Regia di Mel Gibson vedi scheda film
Dopo "Apocalypto" e "La passione di Cristo", un altro inno al cattivo gusto. Intellettualmente disonesto.
Un bruttissimo film, per giunta basato su una clamorosa contraddizione. Come può un sedicente obiettore di coscienza farsi arruolare volontariamente al fine di essere spedito sul fronte giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale? Il mistico protagonista non è assolutamente antimilitarista, non è un pacifista e considera sacrosanto l’impegno del suo paese contro l’impero nipponico. Non ha alcunché da obiettare contro la guerra, ma inorridisce alla sola idea di avere un contatto fisico con un’arma. Compie un audace salvataggio di suoi commilitoni feriti nel corso dell’azione bellica, diventa un eroe, viene ufficialmente riconosciuto come “obiettore di coscienza integrato” e tutti sono contenti, dopo due ore di carneficine, colate di sangue, uomini che ardono come torce, membra amputate e altre amenità del genere.
Se esistesse un premio al cattivo gusto, Mel Gibson avrebbe tutte le carte in regola per vincerlo. Con il suo “Apocalypto” del 2006, mi aveva fortemente infastidito, non sono riuscito a vedere più di 30 minuti della sua “Passione di Cristo” del 2004, ma qui si è superato ogni limite! Le immagini della violenza vengono date in pasto alla parte più sadico-voyeuristica dello spettatore, in un susseguirsi talmente ripetitivo da portare all’assuefazione. Forte di importanti mezzi finanziari, il film punta sullo spettacolo e gli effetti speciali, ma diventa addirittura irritante nel riproporre scene e situazioni viste e riviste da trent’anni nel cinema di guerra americano. Tornano nostalgicamente alla memoria “Platoon” di Oliver Stone (1986), “Full metal jacket” di Stanley Kubrick (1987), soprattutto nella parte iniziale, dedicata all’addestramento della truppa, “Vittime di guerra” di Brian De Palma 1989). La sequenza iniziale di “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg (1998), tremenda ma solo esplicativa del contesto in cui nasce la narrazione, viene qui dilatata e diventa pornografia della violenza, spalmata lungo l’intera pellicola. A questo punto, non c’è un’inquadratura che non sia stucchevolmente prevedibile.
Credo che la lettura della Bibbia non abbia avuto un effetto positivo sulla formazione di Mel Gibson, ormai prigioniero di una visione manichea della realtà, esaltato e indigeribile. Diciamola tutta: la mia critica non si rivolge soltanto ai contenuti fondamentalisti e beceri del film, ma anche al fatto di essere un misero prodotto commerciale di bassa lega. Pur non condividendo una sola idea che anima “American sniper” di Clint Eastwood (2014), ho scritto una recensione più che positiva per un’opera di altissima qualità cinematografica, nella quale la psicologia del protagonista ha un’importanza centrale, l’alternarsi tra scene di guerra e di vita civile trova il suo giusto equilibrio, l’insieme ha un senso, da me non condiviso, ma ha un senso. Qui, tutto questo latita. Del nostro sedicente obiettore sappiamo che i fucili gli causano l’orticaria, che nella vita si ispira alla Bibbia e che ama perdutamente una donna con la quale finirà felicemente sposato. Un invasato, insomma, un personaggio il cui spessore non riesco neppure ad intravedere.
Un film da dimenticare al più presto, o forse da ricordare come avvertimento su come si possano pericolosamente manipolare i tanto colpevolmente decantati buoni sentimenti.
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