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La battaglia di Hacksaw Ridge

Regia di Mel Gibson vedi scheda film

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La recensione su La battaglia di Hacksaw Ridge

di giurista81
9 stelle

La Battaglia di Hacksaw Ridge ovvero la missione all'inferno di un giovane credente che fa della sua vita una missione per la conquista dei cieli. Bellissima, al riguardo, l'ultima inquadratura del film con Andrew Garfield (il protagonista nei panni di Desmond Doss) ripreso dal basso verso l'alto, mentre sembra sospeso tra il mondo degli uomini (il regno dell'uomo) e la pace del cielo dove le porte si aprono solo agli eletti (il regno di Dio). Sceneggiato da Robert Schenkkan (che ricordiamo al debutto in scrittura con Cavallo Pazzo ovvero Crazy Horse) e Andrew Knight, il film prende lo spunto da un caso realmente accaduto che non poteva non commuovere e soprattutto ispirare il forte sentimento e interesse religioso del “genio e sregolatezza” Mel Gibson (meglio noto per l'agente Riggs in Arma Letale) di cui non possiamo non menzionare La Passione di Cristo (2004). Ed è proprio la Passione per Cristo che anima il protagonista di questa vicenda, un soldato che sconfigge la morte combattendo senza armi, dapprima in casa (con un padre, il grande Hugo Weaving, ubriacone e molesto ma decorato in battaglia nella grande guerra), poi nel proprio reparto, dove viene deriso, picchiato (come Palla di Lardo), inizialmente, da tutti sentendosi ripetere che non è adatto per certi ruoli e poi dopo diviene un eroe dopo aver accarezzato la proposta di finire in carcere, ricevendo la stima incodizionata anche di chi l'aveva provocato (“Comunque la mia pistola a te non la darei: tu sei pazzo!”). Ideali forti a motivarlo, che il ragazzo spiega molto bene anche alla futura moglie (la bellissima Palmer) quando le dice che rinunciare a essi significherebbe morire, come a dire che non si possono fare compromessi e si deve esser sempre sé stessi fregandosene delle conseguenze (quando ovviamente si è animati da propositi nobili). Un atteggiamento ostinato che non viene neppure smosso dall'inferno in cui, insieme al suo plotone, si trova vomitato, dopo battaglia legale per andarci (davvero una cosa che più bizzarra non si può... praticamente l'estremo opposto del disertore). “Qua noi combattiamo contro Satana, non hai capito, ragazzo?” cerca di smuoverlo un superiore. E lui, armato della piccola bibbia offertale in dono dalla ragazza, fa leva alla volontà del Signore chiedendogli esplicitamente cosa deve fare. E così, dopo un olocausto bellico che si consuma in appena un giorno (Gibson è brutalissimo, con una regia, in azione, fatta di semi soggettive e steady cam da urlo, e lo fa a ragione per sottolineare l'inferno della guerra), a differenza degli altri trentadue componenti del reparto superstiti (stremati e impauriti per aver il drappo nero della morte sempre al proprio fianco pronto a calare sui propri occhi), decide di restare, da solo, sopra, per recuperare i suoi compagni feriti. Lui è il medico, uno dei tre che erano presenti nel gruppo, ma l'unico che non tocca armi per un'obiezione di coscienza (all'apparenza assurda, ma radicata in un episodio dell'infanzia). Eppure è l'unico che resta in territorio controllato dal nemico e lo fa perché confida nella bontà divina, sfidando costantemente il male in una battaglia invisibile in cui ne esce da gigante vincitore. “Fusto di mais” questo il suo soprannome “Sei pieno di sorprese e chi l'avrebbe mai detto” gli dice il sergente burbero interpretato da Vince Vaughn (ma a suo modo simpatico, una sorta di macchietta del Sergente Hartman di Full Metal Jacket) che lo ha addestrato e che ormai, ferito e reso all'immobilità insieme al soldato Hollywood (altro personaggione che, a inizio film, se ne sta tutto nudo a incarnare l'idea del super macho), faceva già i conti con le ultime mosse concessagli dal ghignante teschio pronto a rivendicare il suo scacco matto mortale.

Parte finale con la presa del campo di battaglia, a cui si accede superando una parete frontale che divide la quiete dall'inferno.

Grandissimo film, poco da dire, che tiene incollati alla poltrona specie se visto al cinema. Una prima parte (non lunga) un po' lenta per presentare il personaggio (peraltro qua la sceneggiatura non è priva di buchi o comunque piuttosto superficiale, nel senso del non scavare troppo a fondo nei personaggi) con l'immancabile storia d'amore con un'infermiera (ricorda Pearl Harbor); una parte centrale di addestramento molto divertente sulla falsa riga di Full Metal Jacket; e una terza parte dove emerge l'orrore all'ennesima potenza della guerra, una sorta di inizio de Salvate il Soldato Ryan, sequenza dello sbarco, moltiplicato dieci con tanto di ettolitri di sangue, frattaglie, bachi e persino topi che mangiano cadaveri. Avvisati i deboli di cuore e gli impressionabili (non dico i facilmente, perché il film è impressionante).

Costato 40 milioni di dollari, ne ha incassati, al momento, 66 negli Stati Uniti e circa 163 nel mondo. Pluripremiato quindi dai botteghini, ma anche dalla critica con sei nomination all'Oscar e tre ai Golden Globe. Un grande ritorno alla regia, dopo dieci anni, per Mel Gibson mancato dai tempi del buon Apocalypto (2006). Andatelo a vedere al cinema, finché è disponibile, perché ne vale davvero la pena. Spettacolo sul versante azione e regia, ma anche sui contenuti filosofici-esistenziali. Bravo Gibson, quando lo stile di genere fa lezione e diviene grande cinema.

 

Sono scesi in 32, ma c'è qualcuno che è rimasto lassù e che sta facendo scendere i feriti!

 

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