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La battaglia di Hacksaw Ridge

Regia di Mel Gibson vedi scheda film

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La recensione su La battaglia di Hacksaw Ridge

di supadany
4 stelle

Venezia 73 – Fuori concorso.

Da tempo Hollywood sembrava essersi dimenticata di Mel Gibson, reduce da una serie di insuccessi e film minori, che con questo titolo prova a rientrare nel giro che conta, al pari del più giovane Andrew Garfield che, smessi anticipatamente i panni di Spider-man, si è un po’ perso per strada.

Nonostante le premesse ci fossero tutte, per entrambi non sembra l’occasione congrua per imitare l’araba fenice.

Desmond Doss (Andrew Garfield) è un giovane obiettore di coscienza che decide di arruolarsi nell’esercito americano nonostante rinneghi l’uso delle armi.

Dopo un addestramento che lo vede ostracizzato da compagni e istituzioni, parte per il fronte giapponese dove ricopre l’incarico di barellista, conquistando, grazie al suo coraggio, il rispetto fino a quel momento mai ricevuto.

 

 

Il genere bellico è considerato da sempre un porto sicuro, per premi e incassi, e l’aggiunta dell’ispirazione da una storia vera di un eroe fuori dal comune allineamento militare e dall’anima candida è un’opportunità aggiuntiva non di poco conto.

Purtroppo, Mel Gibson non ritrova lo smalto dei giorni migliori (Braveheart, L'uomo senza volto) cominciando con il perdere tanto (inutile) tempo nella prima (lunghissima) parte che si articola tra infanzia, povera di elementi salienti, il primo vero amore, genuino ma senza sobbalzi incredibili, e l’addestramento che rischia a sua volta di apparire come la parodia (involontaria) di Full metal jacket risultando niente di più che un discontinuo intrattenimento dalle tonalità discordanti.

Gioco forza, quando l’azione si sposta sul campo di battaglia del fronte giapponese, l'offerta migliora, con un primo violentissimo attracco che è per Mel Gibson ciò che fu per Steven Spielberg lo sbarco di Normandia.

Uno scenario solido che trascina nell’orrore della carneficina, tra nebbia, budella e natura devastata, con attacchi e contro offensive che in seguito scade nell’eccessiva esaltazione dell’atto eroico, spettacolarizzato al punto di addentrarsi nei meandri del ridicolo (insomma, respingere a suon di calci volanti delle granate pare un po' eccessivo) quando sarebbe stato consigliabile asciugare, incastonando semplicemente un numero limitato di sequenze, ma calibrate e di forte pathos.

In questo segmento, così come in altri spezzoni più leggeri, Andrew Garfield non è di alcun aiuto alla causa (in generale, sfoggia spesso un sorrisino inappropriato), mentre nel resto del ricco cast, è forse l’unica donna presente, Teresa Palmer, ad essere più immersa nel racconto, con Vince Vaughn vanesio e Hugo Weaving schiacciato nel suo personaggio.

Così, il vero, e sentito, omaggio all’uomo arriva solo alla fine, grazie a delle immagini di repertorio, in un estremo tentativo di cogliere l’emozione: ci riesce, ma doveva muoversi prima in questa direzione, controllando gli eccessi (a tutto c’è un limite) a favore del messaggio di sacrificio e umanità del protagonista, oltre a una pulizia formale, piegata a favore di una visceralità comunque sentita.

Più spettacolo che reale anima.  

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