Regia di Mel Gibson vedi scheda film
E' un film anche troppo canonico, per certi versi, la retorica è decisamente pressante come la propaganda religiosa (anche se in minor misura di quanto mi aspettassi) o il ricorso a un linguaggio espressivo altisonante fino a divenire quasi celebrativo, specie nella seconda parte e sul finale, il sangue scorre a fiumi, gli eccessi non si contano e la Bibbia viene usata neanche fosse un randello, eppure...
..eppure il ritorno alla regia di Mel Gibson convince grazie ad una film solido e compatto, di stampo anche classico, specie nella prima parte, ma con un messaggio potente, schietto, capace di toccare le corde giuste e di non lasciare comunque indifferenti.
Il film è diviso in tre atti: nella prima parte viene introdotto il protagonista e i suoi anni formativi in un difficile (e violento) contesto familiare, elemento fondamentale nel costruire quel background ideologico e, soprattutto, religioso che andranno poi a spiegare/giustificare tutte le scelte successive di un eroe di guerra molto particolare ma capace anche di incarnare molti dei temi cari al regista (la Fede, il senso di colpa e del sacrificio, il disegno di Dio e il senso del divino nell'uomo)
Avventista del Settimo Giorno, fermamente convinto della necessità della guerra ma anche che uccidere fosse sbagliato e restio a nascondersi in patria mentre i suoi coetanei andavano in guerra a morire, Doss si costruì su misura una propria personalissima missione, anche di natura pretammente religiosa (o mistica), e si arruolò non per uccidere il nemico ma per curare e salvare i propri compagni d’armi, cercando quanto possibile di “ricomporre” quello che la guerra faceva invece “a pezzi”.
Desmond Doss, una specie di incrocio tra Forrest Gump e Giovanna D'Arco, combatté in prima linea senza mai imbracciare un'arma e fu il primo obiettore di coscienza ad essere insignito con la Medaglia d'Onore del Congresso, la più alta onorificenza militare americana.
La seconda parte è invece destinata all'addestramento e ai contrasti che, inevitabilmente, nascono tra l'esercito americano e il suo modo "alternativo" di approcciarsi alla guerra, sia con i commilitoni che con gli ufficiali al comando che, preso per pazzo, cercheranno in tutti i modi di farlo desistere arrivando anche alla corte marziale.
Ma la sua fede incrollabile finirà per prevalere a discapito di tutto e tutti.
La terza e ultima parte è il vero e proprio attacco a Hacksaw Ridge, un promontorio strategico e inespugnabile dell'isola di Okinawa, Giappone.
E' questa la parte più spettacolare, ma anche più violenta, della pellicola, quella dove Gibson mette in mostra tutte le sue capacità nel dirigere scene di massa e combattimenti, non arretrando mai la macchina da presa ma anzi gettandola oltre l'ostacola direttamente dentro le budella di corpi fatti a pezzi e senza risparmiare assolutamente niente allo spettatore.
Per 50 minuti circa si avrà davvero la sensazione di essere dentro il campo di battaglia, a strisciare tra i cadaveri, a schivare pallottole, ad annaspare nel fango, a respirarne la polvere e l’odore del sangue dei cadaveri putrefatti.
Poco importa dell'ideologia, la direzione e la tensione costante nelle scene di combattimento, lo spettacolo e le coreografie seppur di una tale mattanza, cinica e spietata, sono sicuramente tra le migliori girate da anni a questa parte e valgono, da sole, il prezzo del biglietto.
Ottima la prova di Andrew Garfield (anche se per me non da Oscar) mentre molto buona è anche la prova di Hugo Weaving nella parte del padre di Desmon e di Vince Vaughn nel ruolo del Sergente Howell.
Più ordinaria invece la prova di Sam Worthington e quella della sempre splendida Teresa Palmer, interesse sentimentale del protagonista.
VOTO: 7
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